venerdì 29 giugno 2012

Laicità e Governo sulla Vita: Padroni della nostra esistenza. Con note a margine: Sapere Aude!

                                                     
                                                  




Segnalo e propongo una sana lettura di Stefano Rodotà, <<Laicità e Governo sulla vita>> l' estratto di una lezione su che l'autore tenne a Torino in occasione del premio laico dell'anno 2010 pubblicato da Repubblica il 10 marzo dello stesso anno.


-  Laicità rinvia ad autonomia, e questa si declina

 come autodeterminazione.

 Sì che, parlando di laicità, non possiamo più

 ritenere che l´orizzonte sia individuato

 soltanto dal rapporto tra due poteri, lo Stato e

 la Chiesa, «ciascuno nel loro ordine,

 indipendenti e sovrani», o dallo stesso

 confronto tra secolarizzazione e religiosità. 

È avvenuta una più complessa distribuzione dei

 poteri, che individua la persona come

 protagonista istituzionale.

 La laicità, oltre che come principio di 

organizzazione istituzionale e sociale, si

 manifesta così anche come principio di 

governo della vita, che inquieta a tal punto da

 suscitare la tentazione di mimare un incipit

 famoso, e annotare che «uno spettro s´aggira

 per l´Italia – lo spettro

 dell'autodeterminazione".

«La circostanza che il consenso informato trova

 il suo fondamento negli articoli 2, 13 e 32 della

 Costituzione pone in risalto la sua funzione di 

sintesi di due diritti fondamentali della

 persona: quello all´autodeterminazione e

 quello alla salute». 

Queste parole della Corte costituzionale

 individuano una distribuzione di poteri, la cui

 portata può essere colta attraverso due rapidi

 esercizi di riflessione storica.

 Partiamo dal 1215, dalla Magna Charta e dal 

suo habeas corpus, con la promessa del re a

 ogni "uomo libero": «non metteremo né 

faremo mettere la mano su di lui, se non in

 virtù di un giudizio legale dei suoi pari e

 secondo la legge del paese». 

Siamo di fronte all' abbandono

di una prerogativa regia, a un autolimitazione, a un atto che


 laicizza il potere del re, che non riposa più sulla

 sovranità/sacralità, ma si cala nel mondo, si presenta come

 l´esito di una negoziazione complessa, che porterà poi alla

 "autolimitazione" dello Stato sovrano come atto di

 fondazione dei diritti pubblici subiettivi.


Sette secoli dopo, nel 1947, l´Assemblea

 costituente approva l´articolo 32 della

 Costituzione, che riconosce la salute come

 diritto fondamentale e prevede che i 

trattamenti obbligatori possano essere imposti

 solo per legge.

 Ma si aggiunge: «la legge non può in nessun

 caso violare il limite imposto dal rispetto della

 persona umana». È una delle dichiarazioni più

 forti della nostra Costituzione, pone al

 legislatore un limite invalicabile.

 Quando si giunge al nucleo duro dell´esistenza, 

siamo di fronte all´indecidibile. Nessuna 

volontà esterna, fosse pure espressa da tutti i 

cittadini o da un Parlamento unanime, può 

prendere il posto di quella dell´interessato. 

Siamo di fronte ad una sorta di nuova 

dichiarazione di habeas corpus. Il sovrano 

democratico, una assemblea costituente, 

rinnova a tutti i cittadini la promessa di 

intoccabilità: «non metteremo la mano su di 

voi», neppure con una legge. La rottura è netta. 

Non vi è più una autolimitazione, ma un vero 

trasferimento di potere, anzi di sovranità. 

Sovrana nel decidere della propria salute, e 

dunque della propria vita, diviene la persona.


Passiamo al secondo esercizio storico, al quarto 

secolo prima di Cristo quando Ippocrate 

formula il giuramento che accompagnerà la 

professione medica.

 «Sceglierò il regime per il 

bene dei malati secondo le mie forze e il mio 

giudizio, e mi asterrò dal recar danno e offesa».


Di nuovo una autolimitazione del potere, di cui 

scopriremo la radicale inadeguatezza ventitre 

secoli dopo, nel 1946, quando a Norimberga 

vengono processati i medici nazisti. L´abuso del 

potere medico attraverso la sperimentazione 

sugli esseri umani provoca una reazione, 

affidata al Codice di Norimberga, che si apre 

con le parole «il consenso volontario del 

soggetto umano è assolutamente necessario».



Dall´autolimitazione del potere del medico, 

definita unilateralmente dal giuramento, si 

passa ad un integrale trasferimento del potere 

alla persona che, sottratta a quel potere, rinasce 

come "soggetto morale".


L´autodeterminazione si identifica così con il 

progetto di vita della persona. 


Qui vita è 

davvero quella di cui ci parla Montaigne, «un 

movimento ineguale, irregolare, multiforme», 

governato da un esercizio ininterrotto di 

sovranità che permette quella libera 

costruzione della personalità iscritta in testa 

alla nostra e ad altre costituzioni.

 E sovranità e 

proprietà sono parole che, non da oggi, 

accompagnano la definizione del nostro 

rapporto con il corpo, dunque con la vita tutta 

intera. 

Respinto sullo sfondo il riferimento alla 

proprietà, si creava la condizione propizia allo

incontro con la sovranità. 

Certo tra "sovrani" sono sempre 

possibili tensioni o conflitti.

 Ma, proprio per evitare che la 

vita divenga un campo di battaglia, vengono definiti confini 

che potere politico e medico non possono varcare, 

escludendo che lo Stato abbia giurisdizione sulla vita, possa 

considerare il corpo come un luogo pubblico, che è cosa 

diversa da limiti coerenti con la natura della

autodeterminazione.

Ma le controversie rimangono. L´iconografia 

tradizionale e gli antichi scritti sono fitti di 

descrizioni nelle quali figure diverse si 

contendono corpo e vita di una persona.

 La 

virtù e il diavolo, il sacerdote e il principe, il 

medico e il soldato, le donne tentatrici e i 

mercanti avidi sono tutti lì intorno ad una 

spoglia, privata di libertà e autonomia. 


Un grumo di quelle rappresentazioni è ancora presente.

 Il pane e le bottiglie d´acqua sul 

sagrato d´una chiesa o davanti ad una clinica, le 
scritte che rivendicano la proprietà d´un corpo 

e d´una vita, la presentazione del diritto come 

un´arma che uccide ripropongono con 

deliberata violenza la negazione della

autodeterminazione. 

E il Presidente del 

consiglio manda una lettera alle suore che 

avevano ospitato Eluana Englaro, addolorato 

«per non aver potuto evitare la sua morte». 

Non è il rammarico di un Re Taumaturgo al 

quale è stato impedito di imporre le sue mani 

per una guarigione altrimenti impossibile. È la 

rivendicazione di un potere sulla vita, di cui il 

politico vuole tornare a essere l´unico 

depositario.


Intorno a noi è tutto un cercar di chiudere i 

varchi aperti perché l´autodeterminazione 

potesse essere esercitata. In un´ansia di 

rivincita, l´alleanza tra libertà e tecnologie 

viene rovesciata. 

Le tecniche contraccettive 

avevano reso possibile una sessualità liberata e 

una maternità consapevole. Ma le tecnologie 

della riproduzione o la pillola Ru 486 

diventano l´occasione per riprendere il 

controllo del corpo delle donne.

 Le tecnologie 

della sopravvivenza vengono trasformate nello

obbligo di sopravvivere attraverso 

manipolazioni sconosciute alle leggi di altri 

paesi. Si dovrà rinunciare ai loro benefici per il 

timore di divenirne, poi, prigionieri?


Via via che si entra nel mondo nuovo della 

scienza e della tecnologia l´autodeterminazione 

guadagna nuovi spazi e, proprio per questo, richiede un 

ambiente pienamente laicizzato, dove tutte le opportunità 

possano essere valutate senza pregiudizi. 

Ma scienza e 

tecnologia avviano anche processi di riduzione drammatica 

della libertà di scelta che possono essere contrastati solo 

esaltando al massimo le potenzialità della

autodeterminazione. Segnalo quella che chiamerei la 

consegna della persona alla società dell´algoritmo.


Scopriamo sempre più spesso un mondo governato dall

´algoritmo, quello di Google o quello al quale la finanza 

aveva affidato le scelte di investimento. E scorgiamo pure 

una costruzione dell´identità sempre più sottratta alla 


consapevolezza degli interessati, affidata invece a processi 

variamente automatici.

Tornando alle parole iniziali, e senza la pretesa 

di chiudere un cerchio, la laicità si rivela un 

presidio contro la pretesa di qualsiasi potere di 

impadronirsi della vita, fino alla sua totale 

spersonalizzazione. Non dirò che la laicità sia il 

più umano dei principi, ma pure ad esso è 

affidata la nostra problematica umanità.




(del 11 marzo 2010 fonte Repubblica di Stefano Rodotà) 




“Laicità rinvia ad autonomia, e questa si declina come autodeterminazione”.


Fu Kant  a prendere le mosse dalla classica distinzione tra autonomia e eteronomia della quale riportiamo un brano di Armando Massarenti tratto dal delizioso “Il filosofo tascabile” (Guanda Editore) che contiene, in formato tascabile, 44 ritratti fulminei, “minimi”, ironici e carichi di domande di filosofi di ogni tempo –


 “Sapere Aude!” Abbi il coraggio di servirti delle tua propria intelligenza, è il famoso motto che Kant proponeva in risposta alla domanda “Che cos’è l’Illuminismo?” e dal quale è bene partire, oggi, per capire quanto innovativo fosse il suo pensiero nei campi della conoscenza, della morale e della religione. 


Tutti, anche quest’ultimo, dovevano essere spiegati “entro i limiti della ragione”. Per mostrare il valore più autentico della religiosità umana,  Kant prende le mosse dalla sua classica distinzione tre “autonomia” e “eteronomia”; l a quale prima che la religione, riguarda la morale, che Kant considera prioritaria rispetto a ogni singola credenza religiosa.

Essere autonomi significa essere capaci di pensare con la propria testa, e di fronte alle domande fondamentali – Come devo vivere? Che cosa è giusto fare? – ognuno deve fare ricorso solo alla propria, per quanto limitata, ragione, indipendentemente da ogni credo e da ogni autorità esterna. 



Non solo la Chiesa, ma tutte le chiese di tutte le epoche, a cui oggi potremmo aggiungere tutte le forme di totalitarismo e di integralismo, secondo Kant non vogliono avere a che fare con degli uomini autonomi, ma eteronomi, cioè incapaci di capire da sé che cosa è giusto fare, secondo quella che egli pensa sia la “legge morale”. 


Gli eteronomi, anche quando agiscono in conformità di quest’ultima, lo fanno seguendo precetti impartiti da altri e non per intima convinzione. 


 Dunque, aderite pure alla chiesa che volete, ma ricordatevi che la legge morale é, deve essere, innanzitutto, dentro di voi.


 Eterenome per eccellenza, secondo Kant, sono quelle visioni che cercano di definire una volta per tutte la natura dell’uomo e ciò che lo rende felice. —