martedì 24 giugno 2014

La solitudine di Altiero Spinelli









Oggi, mentre ancora sembra in questione chi sarà infine il Presidente della Commissione Europea, se sarà nominato in base all’indicazione uscita dalle urne – purtroppo non incoraggiante per il rinnovamento radicale dell’Unione Europea che sarebbe necessario – credo che sarebbe doveroso per ogni cittadino, studioso, studente, docente, pubblicista interessato ai destini della democrazia riflettere a fondo sull’intuizione che governò la vita di Altiero Spinelli (1907-1986), alla quale il pensiero filosofico e politico contemporaneo non ha ancora affatto reso giustizia – né l’ha tradotta nel nuovo linguaggio dei fini – e dei mezzi appropriati – di cui oggi abbiamo tanto bisogno, se continuiamo a riconoscerci nei sei valori che sorreggono la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (Nizza 2000, Strasburgo 2007): Dignità, Libertà, Eguaglianza, Solidarietà, Cittadinanza e Giustizia. 

Spero che queste poche note servano ad aprire una libera e non frettolosa discussione che potrà servire anche a suggerire iniziative di studio, libri da leggere, seminari e attività per il prossimo anno (anche) accademico.

Nel luglio 1939 Spinelli sbarcava a Ventotene, dopo aver scontato fra carcere e confino dodici anni dei sedici inflittigli – a neppure vent’anni – dal Tribunale Speciale fascista per la sua opposizione attiva al regime.
 Nel ’37, a Ponza, era stato espulso dal Partito Comunista, perché, come Spinelli scrive nella sua autobiografia – una delle più intense della letteratura mondiale (Come ho cercato di diventare saggio, Il Mulino 1999) – era stato “tutto un monologo sulla libertà” quello che aveva iniziato “dal momento che le porte del carcere si erano chiuse alle [sue] spalle”. 
Nel ’41 nasce – sotto la sua penna e in parte quella di Ernesto Rossi, frutto delle conversazioni con Eugenio Colorni e pochi altri, il Manifesto di Ventotene, con il suo memorabile attacco: “La civiltà moderna ha posto come proprio fondamento il principio della libertà, secondo il quale l’uomo non deve essere un mero strumento altrui, ma un autonomo centro di vita.
 Con questo codice alla mano si è venuto imbastendo un grandioso processo storico a tutti gli aspetti della vita sociale, che non lo rispettassero”. 
Tutti: e fra questi il contrasto fra la politica concepita sulla base degli Stati nazionali e l’economia globale.
 Vere democrazie che siano esclusivamente interne ai singoli stati – soprattutto quelli europei – , oggi, non sono più possibili. 
Quell’uomo visionario, eppure profondamente realista, lo vide settant’anni fa

                                                    Roberta De Monticelli