giovedì 15 dicembre 2011

Prima Vennero...




 Quando i Nazisti vennero per i Comunisti,
       rimasi zitto zitto;
      io non ero un comunista.
      Quando imprigionarono i socialdemocratici,

      rimasi zitto zitto;

      io non ero socialdemocratico.
     Quando vennero per i sindacalisti,
     rimasi zitto zitto;
     io non ero un sindacalista.
    Quando vennero per gli Ebrei,
    rimasi zitto zitto;
    non ero un ebreo.

     Quando vennero per me,
     non c'era più nessuno a protestare.


        Emil Gustav Friedrich Martin Niemöller 
               (1892-1984)








                                                            





la Voce Poetica di Martin Niemöller di fronte all'incalzare dei passi pesanti e minacciosi dei razzismi e degli assolutismi dilaganti in ogni parte del mondo, può essere proposta come monito di fronte ai recenti fatti di cronaca razzista, consumati ai danni di giovani e vecchi stranieri, magari delle discriminazioni di senegalesi nella civilissima città di Firenze. In tempi di gravi incertezze esistenziali e di crisi mondiali, in Tempi difficili in cui c'è sempre qualcuno in più pronto a brandire una spranga per aggredire persone, maneggiare una Magnum 357 per sparare a ignari uomini, donne o bambini <<stranieri>>; soffiando sulle ceneri sopite pronte a riaccendersi per incendiare nuovi campi nomadi o centri di "dis-accoglienza" 









Sono giorni Non di ordinaria Follia, ma di Ordinario Razzismo contro il quale vale sempre la pena frapporsi.


Contro il pericolo dell'apatia, dell'indifferenza, della noncuranza, dello sguardo alzato oltre gli occhi degli altri.... 


Dedichiamo a ciascun uomo, donna o bambino del suolo italiano una riflessione di grande conforto in queste ore turbolente, a ricordo di tutte le vittime di ogni razzismo in ciascuna parte del mondo.
I versi di << Prima Vennero... >> attribuiti a Bertolt Brecht, ma scritti dal pastore Martin Niemöller sono versi mai troppo ampiamente citati che sembrano di oggi, scritte anche per questi nuovi caduti. 




Niemöller, teologo e pastore protestante tedesco, oppositore del Nazismo inizialmente attivista di Hitler, nel 1934 si oppose al nazismo, le sue "influenti" amicizie e le sue connessioni con uomini d'affari ricchi ed influenti lo "salvarono" fino al 1937. In quest'anno fu arrestato dalla Gestapo la milizia a diretto controllo di Hitler, che infuriato per un suo sermone, sgradito nei contenuti, decreta la sua persecuzione. Per  otto anni rimase prigioniero in vari campi di concentramento nazisti  Sachsenhausen e Dachau, fino a che non fu liberato. Da Sopravvissuto divenne il portavoce tra gli altri della piena riconciliazione della popolazione tedesca con la propria memoria storica.








       




  




(Pape Diaw, portavoce della comunità senegalese di Firenze, manifestazione contro il razzismo in memoria delle vittime)

venerdì 25 novembre 2011

Le Ali Leggere de las Mariposas. A Memoria dei Crimini contro le Donne




Con la risoluzione 54/134 del 17 dicembre 1999l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha dichiarato il 25 novembre Giornata Mondiale per l’Eliminazione delle Violenza sulle Donne.

Era stato l'Incontro Femminista Latino americano e dei Caraibi tenutosi a Bogotà nel 1981 a suggerire la data del 25 novembre come data internazionale della lotta contro la violenza  sulla donna.
Accettando il sollecito della delegazione della Repubblica Dominicana che proponeva di rendere omaggio alle sorelle Mirabal, tre dissidenti politiche della Repubblica Dominicana, brutalmente assassinate nel 1960 per ordine del dittatore Trujillo.

Aida Patria Mercedes 27 febbraio 1924 - 25 novembre 1960); Maria Argentina Minerva 12 marzo 1926 - 25 novembre 1960; Antonia Maria Teresa Mirabal 14 ottobre 1936 - 25 novembre 1960 nacquero rispettivamente a Ojo de Agua provincia di Salcedo nella Repubblica Dominicana da una famiglia benestante. 
    
Conosciute con il nome di  Las Mariposas Le farfalle era il 25 novembre 1960 quando Minerva e Maria Teresa decidono di far visita ai loro mariti, Manolo Tavarez Justo e Leandro Guzman, detenuti in carcere.




 Patria, sorella maggiore, vuole accompagnarle anche se suo marito è rinchiuso in un altro carcere e contro le preghiere della madre che teme per lei e per i suoi tre figli. Intuizione rivelatasi esatta poiché le tre donne vengono prese in un’imboscata da agenti del servizio segreto militare, torturate e uccise.

 
La loro brutale esecuzione, risveglia l’indignazione popolare che porta nel 1961 all’assassinio di Trujillo e successivamente alla fine della dittatura.


La militanza politica delle tre sorelle Mariposas era iniziata quando Minerva, la più intellettuale delle tre, il 13 ottobre 1949, durante la festa di san Cristobal, organizzata dal dittatore per la società più ricca di Moca e Salcedo, aveva osato sfidarlo apertamente sostenendo le proprie idee politiche. 
 
Fu l’inizio delle rappresaglie contro Minerva e tutta la famiglia Mirabal, con periodi di detenzione in carcere per il padre e la confisca dei beni per la famiglia.
 
Minerva, con un carattere forte e indipendente  una grande passione per la lettura e una ancora più grande per la libertà e il suo paese. 

Maria Teresa la più piccola, emulazione e  modello, anche negli studi universitari delle altre, avrebbe voluto dedicarsi alla formazione Universitaria nella facoltà di Architettura, che non arriverà mai a concludere per la sua prematura scomparsa, conquistando soltanto il grado tecnico in Agrimensura; Minerva giovanissima  seguirà nella militanza politica, dopo essersi fidanzata con un altro attivista politico, Leandro Guzmàn, amico del marito di Minerva. 

Minerva chiede ai genitori dopo la conclusione degli studi superiori, il permesso di studiare Diritto all’Università e di realizzare un suo grande sogno, che troverà nella madre una dura e giustificata opposizione: che in relazione alle sue fiere idee politiche, teme per la sua incolumità. Per consolarla del diniego il padre le permette di imparare a guidare e le regala un automobile su cui, con grande audacia per i tempi, scorrazza da sola per tutta la provincia.
 

Nel 1952, all’età di ventisei anni, Minerva riesce a iscriversi all’Università di Santo Domingo, che frequenterà fra divieti e revoche. Dopo la laurea però non le viene consentito l’esercizio della professione.
 


Minerva, unica donna insieme a Dulce Tejada in un gruppo di uomini, il 9 gennaio del 1960 tiene nella sua casa la prima riunione di cospiratori contro il regime che segnò la nascita dell’organizzazione clandestina rivoluzionaria "Movimento del 14 giugno" e il cui presidente fu suo marito Manolo Tamarez Justo, assassinato nel 1963.
 

Minerva fu l’anima del movimento, «durante un’epoca di predominio dei valori tradizionalmente maschili di violenza, repressione e forza bruta, dove la dittatura non era altro se non l’iperbole del maschilismo, in questo mondo maschilista si erse Minerva per dimostrare fino a che punto ed in quale misura il femminile è una forma di dissidenza». (Dedè Mirabal).


Ben presto nel "Movimento 14 giugno", oltre alla giovanissima Maria Teresa che quando fu assassinata aveva soltanto venticinque anni, vi erano anche il marito, entrambi già da anni erano attivisti politici;insieme alla materna e solidale Patria e al suo fiero marito Pedro Gonzalez.


Patria aveva già abbandonato gli studi presso una scuola secondaria cattolica di La Vega(farà lo stesso l'altra sorella Dedé per badare all’attività familiare).
Patria è molto religiosa e generosa, allegra e socievole; si definisce “andariega”, girovaga, perché ama molto viaggiare. 
Era madre di quattro figli (l’ultimo visse soltanto pochi mesi) e non esita ad aderire al movimento per « non permettere che i nostri figli crescano in questo regime corrotto e tirannico».


L'opera rivoluzionaria delle sorelle Mirabal è tanto efficace che il Dittatore in una visita a Salcedo esclama: «Ho solo due problemi: la Chiesa cattolica e le sorelle Mirabal».
 

Nell’anno 1960 Minerva e Maria Teresa vengono incarcerate due volte; la seconda volta vengono condannate a cinque anni di lavori forzati per avere attentato alla sicurezza nazionale, ma a causa della cattiva reputazione internazionale di Trujillo dopo l’attentato al presidente venezuelano Betancourt, vengono rilasciate e messe agli arresti domiciliari. 

Anche i loro mariti e il marito di Patria, Pedro Gonzalez, vengono imprigionati e torturati.


Trujillo progetta il loro assassinio in modo che sembri un incidente, per non risvegliare le proteste nazionali e internazionali; infatti i corpi massacrati delle tre donne vengono gettati con la loro macchina in un burrone.



L’assassinio delle sorelle Mirabal provoca una grandissima commozione in tutto il paese, che pure aveva sopportato per trent’anni la sanguinosa dittatura di Trujillo. 

La terribile notizia diffusasi con estrema rapidità, risvegliando coscienze in letargo.

Belgica Adele detta Dedéunica sorella sopravvissuta, perché non impegnata attivamente, ha dedicato la sua vita alla cura dei sei nipoti orfani: Nelson, Noris e Raul, figli di Patria; Minou e Manuelito, figli di Minerva, che avevano perso il padre e la madre, e Jaqueline figlia di Maria Teresa, che non aveva ancora compiuto due anni.
 Dedé esorcizzerà il rimorso per essere sopravvissuta alle amatissime sorelle dandosi il compito di custode della loro memoria: «Sopravvissi per raccontare la loro vita».

 Nel marzo 1999 ha pubblicato un libro di memorie <<Vivas in su jardin>> dedicato alle sorelle, le cui pagine sono definite come «fiori del giardino della casa museo dove rimarranno vive per sempre le mie farfalle».  


La vita delle sorelle Mirabal è stata narrata anche dalla scrittrice dominicana Julia Alvarez nel romanzo Il tempo delle farfalle (1994), da cui è stato tratto nel 2004 il film di Mariano Barroso In The time of Butterflies, con Salma Hayek.

 
Il 17 dicembre 1999 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite,  dichiara il 25 novembre Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne in loro memoria. Invitando governi, organizzazioni internazionali e ONG ad organizzare attività ed eventi per accrescere la consapevolezza dell’opinione pubblica su questo tema.

In Italia solo dal 2005 diversi Centri antiviolenza e Case delle donne, hanno iniziato a celebrare questa giornata. 
Ma negli ultimi anni anche istituzioni e vari enti come Amnesty international festeggiano questa giornata attraverso iniziative politiche e culturali in contrasto alla violenza alle donne.

I diritti delle donne sono diritti umani a tutti gli effetti 
e qualunque violazione di questi diritti è pertanto una violazione dei diritti umani.

Il fine ultimo di questa scelta resta evidentemente l’eliminazione di tutte le forme di violenza sulle donne attraverso atti formali precisi: 
- il riconoscimento a livello internazionale, regionale e locale della violenza di genere come violazione dei diritti umani;

- il rafforzamento delle attività a livello locale ed internazionale contro questo tipo di violenza;

- la creazione di spazi internazionali di discussione per l’adozione di strategie condivise ed efficaci in materia;

- dimostrazioni di solidarietà con le vittime di queste violenze in tutto il mondo;

- il ricorso a governi affinché adottino provvedimenti concreti per l’eliminazione di qualunque tipo di violenza.


  


                                                                                 Cleofe Barziza









Fonti e risorse Bibliografiche
Dedé Mirabal, Vivas in su jardin, Aguilar 2009

Julia Alvarez, Il Tempo delle Farfalle, Firenze, Giunti 1997

giovedì 3 novembre 2011

Se devi amarmi


Se devi amarmi, per null'altro sia 
se non che per amore. 


Mai non dire:"L'amo per il sorriso, per lo sguardo,
la gentilezza del parlare, il modo
di pensare così conforme al mio,
che mi rese sereno un giorno". 



Queste son tutte cose che posson mutare,
Amato, in sé o per te, un amore
così sorto potrebbe poi morire.


E non amarmi per pietà di lacrime
che bagnino il mio volto. 



Può scordare il pianto chi ebbe a lungo il tuo conforto,
e perderti.



 Soltanto per amore
amami - e per sempre, per l'eternità.

       Elizabeth Barrett Browning

Tratta da "Sonetti dal portoghese" (1847)


                     a cura di Daniela Marcheschi edizioni Via del Vento 1998


venerdì 21 ottobre 2011

Nostra Signora della Pittura: Sofonisba

        


Sofonisba Anguissola (1532/3 - 1625)







 Figlia del ben noto pittore Amilcare Anguissola, piccolo nobile di Cremona, e di Bianca Ponzoni, prima di sette figli, a lei e al fratello Asdrubale spettò continuare, nel nome, la “saga cartaginese”, iniziata dal nonno Annibale e dal padre Asdrubale.

Contrariamente alle abitudini del tempo, ma con una lungimiranza e una modernità notevole, Amilcare Anguissola, pensò di coltivare le virtù delle sei figliole, avviandole non solo allo studio della letteratura e della musica campi già aperti all’esplorazione del talento femminile sebbene poco praticate dalla moltitudine di donne; ma anche della pittura, accendendo soprattutto intorno a Sofonisba grandi attese.

Accordatosi con il pittore Bernardino Campi, giovane
destinato  a una carriera folgorante nella Lombardia spagnola,
mandò a bottega le due figlie maggiori Sofonisba ed Elena
 affinché imparasseroa disegnare e dipingere.



Dopo il tirocinio Elena però decise di entrare in convento.
Certamente le due ragazze non frequentarono la bottega vera
 e propria, accanto a garzoni e apprendisti di ogni risma, ma 
ricevettero un’educazione all’arte, in particolar modo dedicandosi allo studio dei 
ritratti “dal naturale” e tralasciando, invece, l’invenzione di soggetti religiosi.


Sofonisba si specializzò nel ritratto e insegnò le tecniche alle sorelle.





Il padre di Sofonisba fu ottimo propagandista della figlia, più talentuosa delle altre provvedendo a promuoverne la fama nelle varie corti d’Italia, 
dove ebbe grande successo facendo  la fortuna della famiglia.

I dipinti più celebri di Sofonisba nascono in ambiente domestico,
Pittrice prolifica: più di 30 dipinti firmati sono a Cremona,
 con un totale di circa 50 opere
che con ogni certezza sono sicuramente tutte a lei attribuite.



Sofonisba Anguissola, tra le artiste più celebrate del suo tempo e nota ben oltre i confini dell’Italia, raggiungendo una notorietà al tempo assolutamente insolita ed eccezionale per una donna artista.
Grazie alla sua arte e al suo carattere riuscì a rompere con gli schemi sociali dell’epoca, assumendo un ruolo che allora pochissime potevano vantare.

Annoverata tra le prime donne artiste dell’era moderna, con la particolarità di essere elevata 
alla fama non come parente o moglie di pittori, ma in virtù di capacità proprie.

Certo, essendo nobile di nascita, come le sue sorelle, non esercita la pittura di mestiere vendendo le sue opere, ma limitandosi ad elargirle sotto l’egida del padre, di un marito, o addirittura di una corte.

Sofonisba e le sue sorelle esercitarono “nobilmente” la pittura, senza ricevere mai commissioni ufficiali , ma di sicuro ebbero privilegi, stoffe, gioielli o altri doni adatti al loro rango e riconoscimenti da altissimi personaggi della politica e dell’arte. 

La fama della Anguissola è dovuta soprattutto ai ritratti, che essa tratta in maniera del tutto personale, trasformandoli in scene di genere.

Ancor più vero quando i ritratti appartengono alla cerchia familiare, quando non è imperativo il formalismo dettato da soggetti la cui importanza non esclude del tutto il traguardo della 
raffigurazione dei moti dell’animo, in cui eccelle.


 Il suo dipinto "Ragazzo punto da un gambero" del 1555 entra a far parte della collezione di Cosimo I de’ Medici, duca di Firenze e si dice abbia ispirato il Caravaggio per il dipinto Ragazzo morso da un ramarro.


Negli anni Cinquanta la cultura artistica di Sofonisba fu ulteriormente sollecitata dal padre che provvide a stabilire contatti con Mantova, Ferrara, Parma, Urbino e infine con Roma per completare l’educazione della figlia e promuoverla presso quelle corti.


Dopo un breve soggiorno trascorso a Milano, presso la corte del duca di Sessa (probabilmente accompagnata, oltre che dai genitori, anche da Lucia), l’artista lasciò definitivamente la Lombardia, dove non avrebbe fatto mai più ritorno per tutto il resto della sua lunga vita, raggiungendo entro la fine dell’anno la Spagna.


Prese intensamente parte alla vita di corte, suscitando il commento e l’interesse di molti ambasciatori accreditati presso il re.

Anche se nessun documento ufficiale menziona mai, in alcun modo, il suo ruolo di pittrice-ritrattista, Sofonisba dipinse numerosi ritratti, ufficiali e non, dei personaggi principali della famiglia di Filippo Il e per alcuni mesi addirittura insegnò alla giovanissima regina a disegnare direttamente dal vero, sostituendo con tale novità le normali attività muliebri, come riferito da numerosi sbalorditi testimoni oculari.

ritratto di Isabella de Valois
Quando Isabella di Valois morì di parto nel 1568, tutte le dame del suo seguito tornarono alle famiglie d’origine; solo Sofonisba, affranta, rimase presso la famiglia reale probabilmente perché il rientro a Cremona, a un’età ormai matura e dopo quasi dieci anni trascorsi a corte, sarebbe risultato inadeguato al rango e alla fama acquisiti.


 Da questo momento in poi sarà al seguito delle due infante, Isabella Clara Eugenia e Caterina Micaela, continuando sempre a dipingere.

 L’intrinseca complicità scaturita dall’incontro spagnolo di Sofonisba con la regina-bambina Isabella riuscì felicemente a lenire il comune quanto doloroso distacco che entrambe le giovani donne avvertirono verso le rispettive radici domestiche, ma la pur sensibile differenza d’età innescò una relazione di sapore “materno” così intensa da trasferirsi al successivo ramo dinastico di generazione femminile, coinvolgendo le infanti Caterina Micaela e Isabella Clara Eugenia anche dopo la prematura e inaspettata scomparsa della madre.



ritratto dell'Infanta Caterina Micaela
ritratto dell'Infanta Caterina Micaela
Quando più tardi convoleranno entrambe a nozze e abbandoneranno i luoghi natali per installarsi nelle residenze straniere degli illustri consorti, non esiteranno a imporre una deviazione al loro itinerario di viaggio per sostare in Liguria e incontrare l’antica governante installata a Genova (città anch’essa in stretti rapporti con la corona iberica), che in quei frangenti alimenterà la memoria di quei comuni trascorsi con un omaggio ritrattistico.

Nel 1573 Sofonisba sposerà per procura Fabrizio Moncada, cadetto di una nobile casata siciliana. Il matrimonio però non avrà fortuna, perché il marito affoga cinque anni dopo nel viaggio in mare verso la Spagna, quando la sua nave viene attaccata dai pirati.

 Il secondo matrimonio a Pisa con il genovese Orazio Lomellini è del 1579, contro il volere della corte spagnola e del fratello che l’ha accompagnata nelle peregrinazioni italiane successive alla vedovanza.
Il nuovo marito, capitano di nave, appartiene ad una nobile casata, ma è solo un figlio naturale, e in più dedito completamente all’attività marinara e mercantile.


La pittrice, ormai alle soglie della vecchiaia, si trasferisce a Genova, dove continua a lavorare, intrattenendo rapporti con gli artisti locali. Nel frattempo, il marito si arricchisce e i due si trasferiscono definitivamente a Palermo intorno al 1615, comprano casa nell’antichissimo quartiere arabo di Seralcadi e forse qui cessa di dipingere a causa del progressivo indebolimento della vista, anche se probabilmente fu consultata ancora quando si commissionarono a Genova i dipinti per la chiesa di San Giorgio retta dalla Nazione dei genovesi.



Il 16 novembre 1625 Sofonisba muore, dopo una vita ricca di incontri con personaggi illustri e di soddisfazioni artistiche.
Sepolta nella chiesa di San Giorgio, dove sette anni dopo Orazio 
Lomellini, farà apporre in suo ricordo una commossa lapide commemorativa.

Non ebbe figli, ma dovette stabilire contatti cordiali con i lontani nipoti di Cremona (ricordano le fonti che una figlia di Europa Anguissola, Bianca, mantenne rapporti epistolari con la zia) e con Giulio, un figlio naturale di Orazio Lomellini, che in suo onore battezzò Sofonisba una delle sue figliole.

Considerati i tempi, una vita fuori del comune per un’artista che ha dato molto al suo tempo e che conserva ancora oggi un fascino tutto particolare.


Nel 1624, a poche settimane dallo scoppio di una tremenda epidemia di peste che sconvolse Palermo, Sofonisba ricevette la visita del giovane Anton Van Dyck, chiamato in città per dipingere il ritratto del viceré Emanuele Filiberto di Savoia, affascinandolo con la propria lucidità e vivacità di conversazione, tanto da indurlo a redigere una memorabile pagina di appunti pro-memoria nel proprio album italiano.






Sofonisba Anguissola e le sorelle
Sofonisba Anguissola e le sorelle
La peculiarità della sua vicenda biografica risiede in quelle trame affettive ordite tra le protagoniste femminili della sua famiglia, strutturata con ben sei sorelle unitamente versatili nell’esplorare i fertili territori della pittura, mentre il solo fratello Asdrubale ignorò tali interessi umanistici.

Sofonisba incarnò quel modello femminile in grado di sommare l’antico sapere devoluto nella gestione del focolare domestico alla padronanza di nuove e gratificanti strategie d’intrattenimento sociale.


Anche la lungimiranza del padre Amilcare concorse a promuovere l’espandersi dei talenti filiali, avviando nel 1546 le discendenti maggiori – Sofonisba ed Elena (1536-1586) – ad apprendere le tecniche del dipingere presso il conosciuto pittore locale Bernardino Campi (dal 1546 al 1549), e più tardi rivelando opportuna abilità diplomatica nel magnificare le capacità ritrattistiche della più fortunata primogenita per diffonderle, in un circuito intellettuale di vasto raggio.



Se i riscontri positivi premieranno con solerte disponibilità le fiduciose attese di Amilcare, alimentandole con richieste di commissioni o tangibili elogi espressi da eminenti personaggi del mondo intellettuale come Annibal Caro, Francesco Salviati e Rubens; anche il misogino Giorgio Vasari, durante la stesura delle Vite, si recherà nel 1566 in casa Anguissola per verificare la forza dell’indole inventiva irradiata dalla “virtuosa nobildonna”, frattanto insediata presso la corte spagnola.

La somma autorità di Michelangelo nel 1554 intesse apprezzabili lodi d’incoraggiamento all’indirizzo della giovane cremonese.

 L’immediatezza della mimesi naturalistica si ritrova in Sofonisba col  "Ritratto di Lucia Anguissola", disegno che sorprende la sorella con lo sguardo sollevato dal libro ancora aperto alla lettura per volgere direttamente verso l’esterno gli occhi sgranati (connotato che diventerà “cifra” per rappresentare e riconoscere i visi femminili della famiglia).

La penetrante investigazione leonardesca, la ricerca sugli umori irradiati dagli stati d’animo s’intensificano ulteriormente nel quinquennio 1555-’60, nel sorriso sornione indice di scaltrita conoscenza delle cose mondane fino alla lenticolare meticolosità dell’indagine fiamminga estesa anche ai molteplici inserti narrativi di natura morta disseminati nelle scene pittoriche.

 Ricordi sentimentali si enucleano d’altronde nel "Ritratto di dama" dipinto nel 1556 e adesso custodito presso la Galleria Borghese di Roma, captando con lucida osservazione analitica la sussurrata effusione che emana dall’espressione femminile, forse corrispondente al personaggio materno.

Scarsa rimane la documentazione per ricostruire cronologicamente la produzione della pittrice cremonese in terra spagnola, oltretutto parzialmente perduta in un incendio divampato nell’Alcazar della capitale.

 Nel "Ritratto d’Isabella di Valois" con miniatura, terminato intorno al 1565, conservato al Prado e appartenente ad una nutrita serie di rappresentazioni dedicate alla giovanissima regina durante la sua breve parabola matrimoniale, Sofonisba trasporta l’emozione della visione affettiva, comunicata nella delicata espressione di dolcezza impressa sul volto della regale fanciulla, attraverso moduli parmensi (Correggio) e raffinate eleganze toscane (Bronzino).
Alla metafisica fissità del ritratto aristocratico, Sofonisba unisce il contributo di approfondire la vitalità psicologica del soggetto indagato.

Superando gli schemi stabiliti nella ritrattistica cinquecentesca, poi codificati nel modello di traduzione veneta impostato proprio in Spagna da Tiziano con l’archetipo iconografico di Carlo V, l’artista padana rompe la staticità della postura aristocratica.

Anche le figure maschili beneficiano dello sguardo sensibile effuso da Sofonisba, aperto a una serena compostezza espressiva e ad un tono quasi “familiare”,  sebbene chiusa all’interno del severo abbigliamento in nero imposto dall’ormai insorgente clima controriformista, che domina il Ritratto di Filippo II al Prado.

A qualche anno prima dovrebbe risalire il Ritratto di Alessandro Farnese a Dublino, modello di felice esito iconografico adottato in seguito da Taddeo Zuccari per proporre l’adolescente effigie del personaggio principesco, educato presso la corte reale, negli affreschi del palazzo Farnese a Caprarola.

 All’ultimo periodo del soggiorno a Madrid appartengono "Ritratto di Isabella Clara Eugenia e Ritratto di Caterina Micaela, difatti databili intorno al 1573, simili nell’inquadratura a tre quarti ed entrambi offuscati da una nota dolente sulle delicate movenze del volto col solenne rigore dell’abito scuro, corredo sostanzialmente inusitato nella sensibile rappresentazione dell’infanzia legittimata dall’artista, ma in cui s’inscrive la memoria luttuosa relativa al contemporaneo evento di traslazione all’Escorial delle spoglie materne. 
A Genova Sofonisba rimarrà fino al 1615




Bibliografia

Un mondo di donne, Pratiche Editrici, 2003, MilanoCuratore
S. Zucchi, Pittura in Lombardia dall’età spagnola al Neoclassicismo, Electa,1999,Milano
E. Larsen, Van Dyck, Classici dell’Arte, Rizzoli, 1980, Milano
Curatore R. Belton, L’arte, Logos, 2004, Modena
S. Laurenti “Le grandi donne pittrici  tra Cinquecento e Seicento”