venerdì 24 febbraio 2012

Neutrini Beffardi: Il Test della Smentita



Previsti in maggio nuovi test per misurare la velocità del fascio di neutrini dal Cern di Ginevra ai Laboratori Nazionali del Gran Sasso dell'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn). L' annuncio in una dichiarazione ufficiale la collaborazione internazionale Opera, ovvero da parte del gruppo di ricerca che nel settembre scorso ha rilevato i dati secondo i quali i neutrini sarebbero più veloci della luce e che adesso in quell'esperimento 4 ha scoperto due anomalie che costringono a sottoporre i dati a un nuovo esame.

La decisione di ripetere l'esperimento nel mese di maggio è stata presa in conseguenza della scoperta di due anomalie che potrebbero avere influenzato le misure sulla velocità dei neutrini. "Entrambi - dichiara la collaborazione Opera in una nota - richiedono ulteriori test".

Dei due effetti rilevati, prosegue Opera, il primo potrebbe aumentare l'entità dell'effetto misurato nel settembre scorso e per il quale i neutrini risultavano superare la velocità della luce di 60 nanosecondi, mentre il secondo potrebbe ridurre quello stesso effetto e i neutrini risulterebbero quindi più lenti. "Le possibili conseguenze di questi due effetti sono allo studio della collaborazione Opera", conclude la nota, e nuove misure con un nuovo fascio di neutrini "sono previste in maggio".

Sulla questione è intervenuta l'ex ministro Pdl della ricerca, Mariastella Gelmini, che in settembre fece una  storica gaffe 5 parlando di "tunnel" tra il Cern Ginevra e l'Ifn Gran Sasso. Alla luce degli errori emersi circa la velocità dei neutrini, ha scritto su Twitter: "Avevo il sospetto di aver manifestato un entusiasmo eccessivo...Ora mi consolo: non ero solo io a sbagliare...".

fonte Repubblica.it



sabato 18 febbraio 2012

Del Filosofare e delle Antiche Pratiche per Vivere Bene


Questo articolo presenta una raccolta di studi del filosofo Pierre Hadot, dal titolo «La felicità degli antichi», pubblicato per Raffaello Cortina Editore.

                                    
Siamo abituati a immaginare il filosofo come un uomo tutto dedito all’attività teoretica, costantemente in cerca di risposte alle domande sul senso dell’essere, chino sui libri o perso in incomprensibili astrazioni da restituire in un’opera sistematica, spesso costituita da parole altisonanti.

 L’idea comune del filosofo, dunque, richiama in parte un passato dominato dai grandi tedeschi, e in parte invece un presente più accademico, rischiando così di snaturare la comprensione di ciò che originariamente significò la pratica del filosofare.

Lo studioso che più di tutti si è battuto per restituire un’immagine adeguata dello spirito della filosofia antica è stato Pierre Hadot, un singolare tipo di storico della filosofia scomparso due anni fa. Francese nato a Parigi nel 1922, fu sacerdote per meno di dieci anni, si sposò due volte, divenne ricercatore eppoi direttore dell’ École pratique des hautes études, fu amico di Michel Foucault e Jean-Pierre Vernant e soprattutto pubblicò importanti studi sulla filosofia antica e tardo-antica, distinguendosi per la nitidezza dello sguardo e la semplicità espositiva. 

Alcuni dei suoi libri più importanti furono ripubblicati da Einaudi in occasione della scomparsa (su tutti “Che cos’è la filosofia antica?” e “Esercizi spirituali e filosofia antica”). Una raccolta di studi arriva ora in libreria: “La felicità degli antichi” (Raffaello Cortina Editore, pp. 155, euro 16). Il titolo del libro dice già molto. 

Secondo Hadot, i filosofi nell’antichità non si preoccupavano di costruire teorie sistematiche da redigere in libri di studio. Il loro fine infatti non era la conoscenza in quanto tale ma la felicità e per ragggiungerla si preoccupavano piuttosto di ripensare uno stile e una pratica di vita, quella scelta in cui propriamente consisteva la vita filosofica.

Tre sono i capitoli  centrali del libro. Nello studio intitolato “La filosofia antica: un’etica o una pratica?”, Hadot ci mostra la peculiarità dello scritto filosofico antico, che non assomiglia, come lo scritto moderno, a un monumento architettonico, ma semmai “a un’esecuzione musicale, che procede per temi e variazioni”. 
L’impressione di caos, lentezza, disorganizzazione, deriva dal fatto che “lo scritto nell’antichità ha sempre una dimensione orale”. È cioè pensato per la lettura interna a una scuola, per “la comunità dei discepoli a cui il filosofo si rivolge” e a cui non comunica un sapere compiuto ma che semmai stimola per “formare una capacità, un saper discutere, un saper parlare, che permetterà di orientarsi nella vita della città, o nel mondo”. Il nucleo della filosofia sta dunque nel concetto di “paideia”, ossia di educazione e formazione, perché lo “scopo è guidare verso lo sviluppo armonioso dell’intera personalità umana, che culmina nell’acquisizione della saggezza quale arte di vivere”. 

Socrate, Platone, Aristotele, gli esponenti delle scuole ellenistiche e su su fino a Plotino (dunque dal V secolo a. C. al III d. C.), con le dovute differenze “si considerano filosofi non perché sviluppano un discorso filosofico ma perché vivono filosoficamente”. 

La filosofia insomma è una “forma di vita” per raggiungere saggezza e felicità.
Quanto alla saggezza, nel capitolo seguente (“La figura del saggio nell’antichità greco-latina”), Hadot ci spiega che essa “si identifica con un sapere concreto e rigoroso, mai concepito come il nostro sapere scientifico moderno, perché si tratta di un “savoir-faire”, di un saper vivere, di un certo modo di essere. 
Da Platone in poi, i greci sentono profondamente che non c’è vero sapere che non sia un sapere dell’anima tutta, tale da trasformare l’intero essere di chi lo esercita”.
 In questo senso, quali che siano le differenze fra i filosofi nel concepire la distanza che separa i mortali dall’acquisizione della saggezza (e dunque nell’idea stessa della filosofia, che è letteralmente “amore di sophia”, dunque non possesso ma aspirazione alla sapienza e alla saggezza), Hadot mostra che la figura del saggio “comporta due dimensioni totalmente estranee all’uomo della vita quotidiana: la libertà interiore e la coscienza cosmica”.
 La libertà interiore risiede nella capacità di giudicare senza essere dominati dai pregiudizi o dalle opinioni della maggioranza e dunque trova la propria origine nel famoso detto socratico “prenditi cura di te stesso” nel senso di prendere coscienza liberamente della propria personalità e della propria interiorità.
 La coscienza cosmica invece è la consapevolezza dell’universo, della natura in cui ci troviamo. Lo sguardo puntato sull’universo però non implica una rinuncia all’attività politica. Epicurei, cinici, platonici, aristotelici, stoici, condividono uno stesso obiettivo: “convertire, liberare, salvare gli uomini”.
Hadot riesce costantemente nell’impresa di mostrare la radice comune di secoli di attività filosofica senza perdere di vista le differenze. E tutto questo è evidente nel capitolo intitolato “I modelli di felicità proposti dai filosofi antichi”.

 Dove viene subito chiarito che due sono le grandi tendenze dell’antichità: “da una parte la tradizione socratica, dall’altra l’atteggiamento epicureo”. Nel primo caso, fino a Aristotele e Plotino “la partecipazione alla felicità divina si basa sulla presenza di Dio nell’anima umana” e poiché  “il divino nell’uomo è la mente, lo spirito” l’uomo troverà la felicità nella “vita che gli conviene al livello più alto: la vita dello spirito”. 

Nel secondo caso la felicità risiede invece nel piacere e nel liberarsi dai falsi timori che procurano i dispiaceri, dunque attraverso la conoscenza di ciò che va e non va temuto e desiderato. Comunque la si metta, insomma, la conoscenza è al centro. Si tratta però di una conoscenza non fine a se stessa. Una conoscenza vissuta, praticata, capace di trasformare l’anima e illuminare sul percorso che porta a vivere una vita felice

                                     Matteo Nucci

Fonte: Il Messaggero

mercoledì 15 febbraio 2012

Gli Obiettivi delle Donne: Giustizia e Dignità.



                                                                     



Accade nella storia e nel tempo delle Donne che sovente Esse diventano bersaglio di mortificazioni o di forme e rituali che suonano ancestrali, che hanno l’aria di rappresentare in modo distorto  modelli e linguaggi collettivi, trasformandoli in qualcosa di estremamente pericoloso: forme identitarie, nelle quali finiscono tutti per credere almeno un poco.

 Questo avviene anche in società considerate “evolute” come quella nella quale viviamo, in cui  comprendere e  interpretare fenomeni legati alla sfera del femminile, talvolta senza alcuna apparente ragione, porta a deviare dagli  autentici orizzonti di senso.

Recentemente alcuni fatti giudiziari, hanno consolidato questa Convinzione, che è stata confermata anche dall’escalation di violenza, femminicidi, o episodi di riduzione delle garanzie di giustizia per le donne. E' in corso per così dire un inspessimento della Giustizia nei confronti delle donne, vittime a qualsiasi età, che si contendono più gli onori della cronaca, che non quelli del successo.

Se si tratti di misoginia o di forme di<<Punizione>> del femminile, non è dato sapere, ma il modello della lotta alle donne, appare forte e ben radicato; in pieno corso in una “Democrazia senza Rappresentanze,”che tenta ostinatamente di non occultare le “armi” del belligerare, pur di apparire appropriata a sé.

L’emarginazione dal lavoro delle donne (pubblico o privato); la marginalizzazione dalle risorse per le lavoratrici; la cura l’assistenza e il sacrificio; territori di quel femminile che palesa la strozzatura - percentualmente esplorata dalle donne - all’occorrenza trasformata in <<campo minato>> proscenio di una battaglia impari nella quale a pagare sono per lo più donne; ma che ormai da tempo scontano in termini sociali, anche gli uomini.


                                           


In tempi di crisi, molte troppe donne, nel baratro della povertà economica, sono un dato inequivocabile del "gap" che mina la soddisfazione dei bisogni umani primari ; poi crea un vuoto civile;costringe  alla dipendenza delle donne sempre per lo più da altri uomini; provvede a dissodare quel terreno che fertilizza  violenza e bisogno,  applicandoli in tutte le molteplici forme, al vivere quotidiano cioè alla vita di ciascuno di noi.

 Non basta perciò semplicemente dichiararsi contro qualunque intollerabile forma di violenza sulle donne, ma sarebbe opportuno declinare tutte quelle forme di sistematica Violenza, di emarginazione, bisogno, alle reali necessità delle donne, così come alle loro aspettative ed aspirazioni. provvedendo a rappresentarle talvolta surrettiziamente in forme sempre “diverse” con sempre nuove rappresentazioni di un femminile, troppo poco o banalmente interpretato.

Mi riferisco in particolar modo ai linguaggi espressivi, quei linguaggi della pubblicità, dei mass media, che rendono un’immagine  spesso degradata o del tutto falsata ovvero non rispondente né alla realtà né alle donne; assunti come elementi di riflessioni ed analisi troppo poco praticate 






Così come avviene per certe sentenze giudiziarie. Ad esempio quella relativa quella della terza sezione penale della Corte di Cassazione (n. 4377/12) che ha stabilito che i principi interpretativi per i reati di violenza sessuale e atti sessuali sul singolo, sono “in toto” applicabili anche alla “violenza sessuale di gruppo. Equiparando sostanzialmente la gravità dei due reati.

E’ questa una sentenza che nel valore della propria rappresentazione intende essere con ogni evidenza, più garantista dell’applicazione delle misure cautelari, che  manifestamente  comprensibile dal punto di vista della giustizia sostanziale e della civiltà. 
Per questa stessa ragione giudico dannosa questa sentenza che francamente la reputo vergognosa.




                                            


L’Anatomia del crimine Stupro - Singolo o del Gruppo- rimane un delitto potente contro la Persona, la Vita e l’Integrità di una donna.


Questa sentenza ha determinato uno sbilanciamento tra parti, i violentatori dall’una  e la vittima dall’altra.

Ciascuno dei ragazzi violentatori -  tra i 15 e 17 anni -  due dei quali imputabili già all'epoca della violenza, oggi maggiorenni; che hanno stuprato una vittima dodicenne e lo hanno fatto: ai danni di una bambina, quando il complice terminava il proprio turno.

 Non appare sconsiderata perciò l’esemplificazione che a “beneficiare” di questa sentenza, siano più i carnefici cioè i violentatori, sciagurati attori di un delitto ancor più grave proprio perchè di gruppo; che non la vittima.

 I fatti risalgono al 2006: stupro di gruppo. Delitto più infamante, proprio perchè consumato dal branco, uno stupro di strada pianificato da un imprecisato gruppo e magari perpetrato per riproporre la fisionomia della  celebrazione di un rito, una “iniziazione barbara”, che ammette alla comunità malata coloro che vogliono  e devono far capire alla giovanissima donna, chi comanda e chi decide.

 Violenza dura e nuda, che è viva brutalità di  un gruppo che proprio perchè branco diventa forte e irretisce.

La Disamina di fatti che per il giudice titolato applica alla norma più valore della sentenza in sé, non rimette insieme i pezzi secondo cui un’aggravante può essere trasformata in un’attenuante.

La sentenza ha stabilito perciò, la possibilità dell'applicazione di una pena alternativa per quei giovani maschi, che hanno magari anche goduto all'epoca dei fatti, dell'ampia solidarietà cittadina o di quella delle loro famiglie, inclini più a proteggere che non a educare.

Sollevare perciò più del personale risentimento alla condanna, qualche riflessione approfondita, palesa i segni di una maturità civile, che stenta a radicarsi nel nostro paese, rallentando solo il riscatto ma non arrestando il processo lento e tortuoso dell'affermazione della dignità collettiva dall’ignavia e dell’insegna per la viltade intrapreso per metabolizzare, comprendere e forse capire.

Appronterei la questione nei termini dell’ allarme sociale – se rispondesse al vero – perché risponderebbe a non spegnere in nessun momento i riflettori dell’attenzione su temi del genere; né sull’approvazione di leggi per lo specifico contrasto della violenza sessuale; nè  sulle norme giudiziarie - altrettanto specifiche -  che se equivoche o tendenziose potrebbero ad esempio essere migliorate – ma non brandite banalmente, e tramutate come in questo caso in mera  celebrazione del disagio.

Obiettare sulle norme “spicciole” di certe forme di “ordinaria ingiustizia” non è sconsiderato per i non addetti ai lavori,  siamo tutti parte di questa società cosiddetta civile, abbiamo sotto i nostri occhi: Sentenze emesse da tribunali in ogni grado di giudizio;andamento di udienze (quelle che riguardano donne in modo particolare), lunghezza di rinvii dei procedimenti e quant’altro; territori "impraticabili" quando si devono affrontare i temi dei diritti e delle garanzie. 

Aspetti perniciosi, che non rendono distante la giurisprudenza dalla vita delle persone, ma accostano agli individui, solo la più nobile giurisprudenza, per smascherare debolezze e nervi scoperti.

Arrecano perciò qualcosa in più del semplice fastidio, sentenze come quella a cui si è fatto riferimento, ritenuta dalla vulgata comune  “iniqua;” che Equivale alla rappresentazione dell’indignazione e del turbamento civili, che - in alcuni casi - impedisce e ostacola la <<polverizzazione>> di percorsi di genere della storia delle donne; considerandone proprio nell'importanza di tali percorsi  - siano essi individuali o collettivi - la legittima aspirazione di Nuove tendenze culturali complessive.


                                     

 L’invito pertanto è quello di non Commettere l’errore di derubricazione  a leggenda dell’imparzialità, un Giudizio che  si comprende sin troppo bene come considerare .

Sovente abbiamo assistito a tentativi, anche maldestri, nei quali si riduceva alla sfera del privato, un reato in cui le responsabilità erano invece pubbliche, talvolta neanche provando a comprovarne  incontrovertibilmente validità e sostanza.

In poco più di Trent’anni di storia recente delle donne, quella di una moltitudine di donne mobilitate con coraggio e intelligenza, per ottenere leggi efficaci di contrasto alle violenze maschili; ha tracciato e continua a lavorare per scavarlo, un solco profondo tra la giustizia e l'ingiustizia consumata ai danni delle donne.


Questo lento estenuante lavoro d'ingegno, svolto con profondo senso etico e civile, a tutti i livelli da una moltitudine di donne,  non tiene sotto traccia dati importanti come questi:


La capacità di certi giudici di fronte ai reati commessi contro le donne di “lavarsene spesso le mani,” anzicché  considerare perseguibili  reati del genere; anche con gesti semplici forse banali come il Non allontanamento dei movimenti delle donne dalle aule; non ostacolando in certi casi la costituzione di parte civile delle  associazioni femminili, in processi dalla indubitabile importanza; ed attraverso sentenze di questo tipo. Soppesando perciò i fatti più col buon senso, che con l’artefizio della norma; ma soprattutto non sostituendo ai tribunali titolati l'autorità del giudizio, con la registrazione di dati  in animo sia alle donne  violate, che ad una intera società; eccoci allora a eseguire l'equazione. 


Lo Stupro, sofferenza atavica, imposta a metà della popolazione mondiale femminile, resta pervicacemente radicato e come in questo caso, fissa la vanificazione della propria pericolosità sociale, proprio perchè non ne decodifica il paradigma interpretativo attraverso una chiara identificazone e visibilità, passata per atrocità del reato.


                                       

Da questa sentenza si ricava perciò il tentativo di nascondere alla vista il “branco” con morale perbenista, preoccupati più di strumentalizzare all’occorrenza quel "gruppo" per proprio vantaggio, che non per devitalizzare violenza: non destituendo dell'aggravante ciascuno dei violentatori.

 Attraverso una pedissequa applicazione della legge, non è certo che si favorisca Giustizia né un'adeguata elaborazione di quella sensibilità civile che in certi contesti sarebbe opportuna;  ma neanche la piena e giustificata attuazione della Norma, in grado cioè di "applicare giustizia" a ciò che considerevolmente si può considerare ingiusto, senza per questo  favorire accrescimento  e sviluppo della coscienza etica e civile di un' intera società su temi tanto forti quanto difficili come la violenza sessuale. Ma  che in altre parole  si trasformano - fuor di metafora- in termometro della comune  civiltà  che ricorre il progresso.

 Ci riferiamo alla mancata identificazione ed elaborazione di Obiettivi, o traguardi di percorsi di genere  che è facile riconoscere come manchevoli di una caratterizzazione culturale,  troppi casi sono aggravati solo da lentezza e ostilità.

Evidenziarne perciò  certa portata destabilizzante, può costituire   un monito al pericolo di regressione della civiltà, palesando giustificatamente timori per il reale.

C’è un enorme bisogno di trasformazione e cambiamento che non deve intendersi come un invito a passare sotto traccia gli effetti di certi giudizi.
 Che suggerisce a tutti specie alle donne, di guardare a precisi orizzonti di senso: Giustizia e Dignità, che si guadagnano attraverso denunce auspicabilmente destinate ad aumentare in numeri prossimi alla totalità; fiducia nella legalità e nonostante tutto nella giustizia; creazione e sostegno alla rete di organizzazioni sociali sui territori, creazione di presidi di legalità e destinazioni educative di esperti, dal cui lavoro si guadagna miglioramento generale della convivenza e accrescimento della civiltà tra uomini e donne. 
Sostegno alle donne attraverso la promozione del sentire  femminile diffuso e sincero; protagonismo femminile che nella vita quotidiana dovrebbe essere vissuto come una forma di  <<contropotere>> non solo delle donne ma finalmente anche degli uomini; e per finire sollecitazioni delle  istituzioni che spesso sanno essere immobili o disattenti.

 Questo perchè la violenza rivolta alle donne da sempre, nel nostro paese coincide con una cultura che rappresenta un  interesse miope,  teso a confermare il diritto degli uomini (certi uomini) a disporre del loro potere fin nelle pieghe più nascoste della convivenza familiare per esplodere nelle più articolate forme di violenza sociale che tutti conoscono.

Tutte le vittime della violenza sessuata, hanno bisogno di giustizia; le sentenze sono importanti per le vittime.
Servono anche per sopravvivere a culture ostili.
Le vittime attendono sentenze. 
Prove, per poter aspirare ad essere nonostante tutto, cittadine libere di poter finalmente girare pagine di dolore. Riscrittura di nuovi capitoli di vita con Punti Fermi, che come in questo caso la giustizia non è stata in grado di fissare.

Certe regole spesso sono irrise proprio da parte di chi deve tutelarle, sostituendo nello stile di questo strano paese, le invenzioni propagandistiche col senso del diritto.

 Per i giudici della Cassazione tutto è accaduto come una concomitanza di eventi singoli. E la complicità evidente di clan familiari e di intere comunità strette intorno agli stupratori, non costituisce contesto per la reiterazione del reato; Non rappresenta in alcun modo pericolo o rischio sociale.  
Per questa ragione, da questo sentire è bene dissentire poiché - quei giudici - hanno umiliato non la vittima in sè e per sé, ma la dignità di ciascuna donna, sorella, compagna o moglie.

Non è una questione di vendetta, è il bisogno di sentire parlare le Istituzioni con parole dal significato inequivocabile.
 E’ il bisogno di sapere che Non si debba diventare complici di stupratori attraverso la giustificazione: "i bravi ragazzi che hanno sbagliato sarebbero stati magari  provocati”

Giustizia non significa che i minorenni colpevoli siano aspramente puniti per il fine in sé. 
Non intendiamo ricevere dal sistema giudiziario vendetta in nome e per conto del “fanatismo”, ma sollecitiamo come cittadini di poter disporre di strumenti Rieducativi e socialmente sanzionatori di certi crimini, quanto e più del carcere, per controllare i delinquenti fino e non prima della ragionevole e fondata prova del loro recupero alla convivenza pacifica con l'altro genere.

Per qualcuno invece far tornare i colpevoli a scontare la pena, in quelle stesse famiglie ed in quei contesti che magari li hanno giustificati o coperti, è ritenuta cosa buona e forse incomprensibilmente giusta; la stessa che equivale a far tornare un giovane manovale della n’drangheta, nello stesso ambiente che ha lo ha coltivato nel proprio delinquere.

 La terza sezione penale della Corte di Cassazione, stabilendo che i principi interpretativi  per i reati di violenza sessuale e gli atti sessuali sul singolo, sono “in toto” applicabili anche alla “violenza sessuale di gruppo”, ha equiparato la gravità dei due reati. Trasformando una sentenza che vuole essere più garantista per l’applicazione delle misure cautelari  e molto meno incisiva dal punto di vista della giustizia sostanziale e della civiltà.

E se l’articolo 3 della nostra costituzione recita che <<Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese>>, bisognerebbe finalmente Intendersi perciò - in modo definitivo- sul significato delle  parole “Persona" - "Umana” per porre l'interrogativo sul cosa è da intendersi per persone umane ed in quali forme intervenire, attraverso quali mezzi?


 Per esempio cominciando ad Eliminare gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo delle vittime e dei carnefici? Oppure Non rimuovendo la libertà e la dignità di quegli stessi individui, attraverso norme inique della Repubblica (e ne  restano molte), contro essi stessi Sub iugum miserunt. 


Questa sentenza certo non sarà dimenticata se, il tempo che non trascorre complice, e soprattutto il silenzio non ostacola  speranze con legittime aspirazioni di giustizia nella pari e uguale dignità umana e la destinazione orienterà non distorcendoli i nuovi Obiettivi specifici delle donne: Giustizia e Dignità.


                                        Angela Maria Spina






martedì 14 febbraio 2012

La Nuova straordinaria Vita di un Libro.




                                                          

                                                                     

C'è un momento nella vita di un lettore in cui i suoi libri diventano il suo mondo; e la sua vita potrebbe persino trovarla in uno di essi pronta ad accompagnare quella di qualcun altro. 
Questa è la poesia di chi ha vissuto o vive un rapporto Intimo, intenso e appassionato con un libro, che come qualcosa di vivo è possibile Toccare, Annusare e... Mangiare, ovvero Degustare come un buon pasto o un buon bicchiere dai mille profumi e magiche armonie di gusto.
Da amante dei libri non ho mai osato profanare neanche con l'immaginazione il futuro che i libri avrebbero vissuto, ma soprattutto le evoluzioni possibili che nel corso del tempo si sarebbero determinate su di essi. 
In fondo il libro è stato inventato, così come la scrittura o la stampa e i suoi caratteri mobili, dal papiro egizio alla pergamena, alla raccolta di fogli ricuciti, ai libri dati alle stampe, con rilegature pregiate o popolari edizioni "millelire".


Tutto sino a quando una applicazione iPad non solo mi ha fatto cambiare idea, e mi ha posto la questione con soave poeticità. 
un’umoristica allegoria sul potere curativo delle storie dei libri, con evidenti  e chiari richiami al cinema col personaggio di Buster Keaton, si è trasformata in un'appassionata dichiarazione d’amore per la lettura e alla magia di un gesto tanto spontaneo e semplice,  che oggi si è trasformato per la quasi totalità dei potenziali lettori, in qualcosa di detestabile e repellente, forse a causa di quelli che in questa pratica magica, non credono. 
"Ispirato in egual misura all’uragano Katrina, a Buster Keaton, al Mago di Oz e all’amore per i libri", 
Il corto in questione, nominato ai premi Oscar 2012 nella categoria Miglior Cortometraggio d’Animazione, è anche un’applicazione per iPad, un eccellente esempio di lettura aumentata o amplificata, neologismo sbarcato da poco nel mondo editoriale, che definisce tutti i libri elettronici che aggiungono dei contenuti multimediali all'esperienza di lettura, come un'esperienza avvincente.


Restano magia e Poesia a rafforzare il lancio e le Persone che dedicano la loro vita ai libri, si vedono restituita la vita dai Libri. Metafora indubitabile di un legame alchemico che avvolge e stringe lettori e libri in un rapporto complice ed esclusivo.
 Il lodevole cortometraggio d’animazione il cui titolo originale è The Fantastic Flying Books of Mr. Morris Lessmore, coglie ed interpreta tutto questo, è stato diretto e scritto da William Joyce e ha come co-direttore Brandon Oldenburg.
L'autore dopotutto non è un novellino, Joyce è un ex designer di Pixar, ha realizzato copertine per il New Yorker ed ha collaborato con Disney e DreamWorks.
L'app esce dal suo neonato studio d'animazione, i Moonbot Studios, che già nel 2010 aveva proposto Mister Morris nel cortometraggio muto The fantastic flying booksrilasciato solo sull'iTunes store.

Se già 
Penguin ci ha provato con successo proponendo Sulla strada, il capolavoro letterario di Jack Kerouac, arricchito da foto inedite e dalla riproduzione del manoscritto originale con una mappa interattiva che segue il percorso del protagonista. 




Qui invece si va oltre. Le avventure di Mister Lessmore sono un cartone animato da leggere, con incredibili animazioni che si integrano a perfezione con la lettura senza distogliere l'attenzione del lettore dalla trama visionaria.


C'è una scena in cui basta toccare i volumi di una libreria per sentirgli narrare l'epilogo del romanzo che custodiscono.

 Un'operazione metatestuale che aiuterà i più piccoli a conoscere capolavori immortali come Moby Dick o Alice nel Paese delle Meraviglie mentre i più grandi potranno rinfrescarsi la memoria.

Il curioso ebook ha scalato le classifiche delle applicazioni più vendute posizionandosi in mezzo a best seller non proprio letterari come Angry Birds e Fruit Ninja; ed è 
Venduto al prezzo di 3,99 euro.

libri hanno ancora tanto da dire, basta leggerli in punta di dito, immergersi senza riluttanza e lasciandosi trasportare.

Ma è una fortuna che i libri fantastici volanti del signor Morris Lessmore, siano così ben fatti e tanto umani. Lo è soprattutto perché la lettura è un'avventura interessante anche per gli adulti; poiché Racconta la storia di un uomo ossessionato  dai libri, che viene spazzato via in una tempesta e si ritrova in una accogliente casa di campagna abitata da affascinanti, libri del tutto amichevoli, che quella vita forse banale e anche troppo comune trasforma e modifica in qualcosa di migliore e colorato.

La storia si sviluppa, prende le pieghe della vita, i bambini possono giocare con semplicità, con una ciotola piena di cereali a forma di alfabeto o con la riproduzione di Pop Goes The Weasel su di un pianoforte, tutto scorre col sapore vivo e magico della vita.

 Si può leggere la storia da soli o trovare il tempo per  leggerla a qualcuno, quel che conta è che  l'opera  
è bella e arricchita da un sacco di dettagli piacevoli, con una una varietà di interazioni diverse per spostarsi lungo la storia e giocare con le varie parti interattive.

Forse è veramente la nuova vita dei libri quella che si nasconde tra le rughe del buon vecchio dolce Buston, che volerà via quando dovrà andare, ma che rinascerà con i nuovi colori dell'orizzonte aperti su di un nuovo libro da scoprire  rinnovando e perpetrando la magia della vita in un nuovo libro.


                                      Donna Bruzia