Accade
nella storia e nel tempo delle Donne che sovente Esse diventano bersaglio
di mortificazioni o di forme e rituali che suonano ancestrali, che hanno l’aria di rappresentare in modo distorto modelli e linguaggi collettivi, trasformandoli in
qualcosa di estremamente pericoloso: forme identitarie, nelle quali
finiscono tutti per credere almeno un poco.
Questo avviene anche in società
considerate “evolute” come quella nella quale viviamo, in cui comprendere e interpretare fenomeni legati alla sfera del femminile, talvolta senza alcuna
apparente ragione, porta a deviare dagli autentici orizzonti di senso.
Recentemente
alcuni fatti giudiziari, hanno consolidato questa Convinzione, che è stata confermata anche dall’escalation
di violenza, femminicidi, o episodi di riduzione delle garanzie di giustizia
per le donne. E' in corso per così dire un inspessimento della Giustizia nei
confronti delle donne, vittime a qualsiasi età, che si contendono più gli
onori della cronaca, che non quelli del successo.
Se
si tratti di misoginia o di forme di<<Punizione>> del femminile,
non è dato sapere, ma il modello della lotta alle donne, appare forte e ben
radicato; in pieno corso in una “Democrazia senza Rappresentanze,”che tenta
ostinatamente di non occultare le “armi” del belligerare, pur di apparire
appropriata a sé.
L’emarginazione
dal lavoro delle donne (pubblico o privato); la marginalizzazione dalle risorse
per le lavoratrici; la cura
l’assistenza e il sacrificio; territori di quel femminile che palesa la strozzatura - percentualmente esplorata dalle donne - all’occorrenza trasformata in <<campo minato>> proscenio di una battaglia impari nella quale a pagare sono per lo più donne; ma che ormai da tempo scontano in termini sociali, anche gli uomini.
In
tempi di crisi, molte troppe donne, nel baratro della povertà economica, sono un dato inequivocabile del "gap" che mina la soddisfazione dei bisogni umani primari ; poi crea un
vuoto civile;costringe
alla dipendenza delle donne sempre per lo più da altri uomini;
provvede a dissodare quel terreno che fertilizza violenza e bisogno,
applicandoli in tutte le molteplici forme, al vivere quotidiano cioè alla vita di ciascuno di noi.
Non basta perciò semplicemente dichiararsi
contro qualunque intollerabile forma di violenza sulle donne, ma sarebbe
opportuno declinare tutte quelle forme di sistematica Violenza, di emarginazione, bisogno, alle reali necessità
delle donne, così come alle loro aspettative ed aspirazioni. provvedendo a rappresentarle talvolta surrettiziamente in forme sempre “diverse” con sempre nuove rappresentazioni di un femminile, troppo poco o banalmente interpretato.
Mi
riferisco in particolar modo ai linguaggi espressivi, quei linguaggi della pubblicità, dei mass media, che rendono un’immagine spesso degradata o del tutto falsata ovvero non rispondente né alla realtà né alle donne; assunti come elementi di riflessioni ed analisi troppo poco praticate
Così
come avviene per certe sentenze giudiziarie. Ad esempio quella relativa quella della terza sezione penale
della Corte di Cassazione (n. 4377/12) che ha stabilito che i principi
interpretativi per i reati di violenza sessuale e atti sessuali sul singolo,
sono “in toto” applicabili anche alla “violenza sessuale di gruppo. Equiparando
sostanzialmente la gravità dei due reati.
E’ questa una sentenza
che nel valore della propria rappresentazione intende essere con ogni evidenza, più
garantista dell’applicazione delle misure cautelari, che manifestamente comprensibile dal punto di vista
della giustizia sostanziale e della civiltà.
Per questa stessa ragione giudico
dannosa questa sentenza che francamente la reputo vergognosa.
L’Anatomia
del crimine Stupro - Singolo o del Gruppo- rimane un delitto potente contro la
Persona, la Vita e l’Integrità di una donna.
Questa sentenza ha determinato uno sbilanciamento tra parti, i violentatori
dall’una e la vittima dall’altra.
Ciascuno
dei ragazzi violentatori
- tra i 15 e 17 anni - due dei quali imputabili già all'epoca della
violenza, oggi maggiorenni; che hanno stuprato una vittima
dodicenne
e lo hanno fatto: ai danni di una bambina, quando il
complice terminava il proprio turno.
Non appare sconsiderata perciò l’esemplificazione
che a “beneficiare” di questa sentenza, siano più i carnefici cioè i violentatori, sciagurati attori di un delitto ancor più grave proprio perchè di gruppo; che
non la vittima.
I fatti risalgono al
2006: stupro di gruppo. Delitto più infamante,
proprio perchè consumato dal branco, uno stupro di strada pianificato da un
imprecisato gruppo e magari perpetrato per riproporre la fisionomia della celebrazione
di un rito, una “iniziazione barbara”, che ammette alla comunità malata coloro
che vogliono e devono far capire alla giovanissima donna, chi comanda e
chi decide.
Violenza dura e nuda, che è viva
brutalità di un gruppo che proprio
perchè branco diventa forte e irretisce.
La Disamina
di fatti che per il giudice titolato applica alla norma più valore della
sentenza in sé, non rimette insieme i pezzi secondo cui un’aggravante
può essere trasformata in un’attenuante.
La sentenza ha stabilito perciò, la possibilità dell'applicazione di una pena
alternativa per quei giovani maschi, che hanno magari anche goduto all'epoca dei fatti, dell'ampia
solidarietà cittadina o di quella delle loro famiglie, inclini più a proteggere che non a educare.
Sollevare perciò più del personale risentimento alla condanna, qualche
riflessione approfondita, palesa i segni di una maturità civile, che stenta a radicarsi nel nostro paese, rallentando solo il riscatto ma non arrestando il processo lento e tortuoso dell'affermazione della dignità collettiva
dall’ignavia e dell’insegna per la viltade intrapreso per metabolizzare, comprendere e forse capire.
Appronterei
la questione nei termini dell’ allarme sociale – se rispondesse al vero – perché risponderebbe a non spegnere in nessun momento i riflettori dell’attenzione su temi del genere; né
sull’approvazione di leggi per lo specifico contrasto della violenza sessuale; nè sulle norme giudiziarie - altrettanto
specifiche - che se equivoche o tendenziose potrebbero ad esempio essere migliorate – ma non brandite banalmente, e tramutate come in questo caso in mera celebrazione del disagio.
Obiettare sulle norme “spicciole” di certe forme di “ordinaria
ingiustizia” non è sconsiderato per i non addetti ai lavori, siamo tutti parte di questa società cosiddetta civile, abbiamo sotto i nostri occhi: Sentenze emesse da tribunali in ogni grado di giudizio;andamento di udienze (quelle che riguardano donne in modo particolare), lunghezza di rinvii dei procedimenti e quant’altro; territori "impraticabili" quando si devono affrontare i temi dei diritti e delle garanzie.
Aspetti perniciosi, che non rendono distante la giurisprudenza dalla vita delle
persone, ma accostano agli individui, solo la più nobile giurisprudenza, per smascherare debolezze e nervi scoperti.
Arrecano perciò qualcosa in più del semplice fastidio, sentenze come quella a cui si è fatto riferimento, ritenuta dalla vulgata comune “iniqua;” che Equivale alla rappresentazione dell’indignazione e del turbamento civili,
che - in alcuni casi - impedisce e ostacola la
<<polverizzazione>> di percorsi di genere della storia delle donne; considerandone proprio nell'importanza di tali percorsi - siano essi individuali o collettivi - la legittima aspirazione di Nuove tendenze culturali complessive.
L’invito pertanto è quello di non
Commettere l’errore di derubricazione
a leggenda dell’imparzialità, un Giudizio che si comprende sin troppo bene come considerare .
Sovente
abbiamo assistito a tentativi, anche maldestri, nei quali si riduceva alla
sfera del privato, un reato in cui le responsabilità erano invece pubbliche,
talvolta neanche provando a comprovarne
incontrovertibilmente validità e sostanza.
In
poco più di Trent’anni di storia recente delle donne, quella di una moltitudine di donne mobilitate con coraggio e intelligenza, per ottenere leggi efficaci di contrasto alle violenze maschili; ha tracciato e continua a lavorare per scavarlo, un solco profondo tra la giustizia e l'ingiustizia consumata ai danni delle donne.
Questo lento estenuante lavoro d'ingegno, svolto con profondo senso etico e civile, a tutti i livelli da una moltitudine di donne, non tiene sotto traccia dati importanti come questi:
La capacità di certi giudici di
fronte ai reati commessi contro le donne di “lavarsene spesso le mani,” anzicché
considerare perseguibili reati del genere; anche con gesti semplici
forse banali come il Non allontanamento dei movimenti delle donne dalle aule; non ostacolando in certi casi la costituzione di parte civile delle associazioni femminili, in processi dalla indubitabile importanza; ed attraverso sentenze di questo tipo. Soppesando perciò i fatti più col buon senso, che con l’artefizio della norma; ma soprattutto non sostituendo ai tribunali titolati l'autorità del giudizio, con la registrazione di dati in animo sia alle donne violate, che ad una intera società; eccoci allora a eseguire l'equazione.
Lo
Stupro, sofferenza atavica, imposta a metà della popolazione mondiale femminile,
resta pervicacemente radicato e come in questo caso, fissa la vanificazione
della propria pericolosità sociale, proprio perchè non ne decodifica il
paradigma interpretativo attraverso una chiara identificazone e visibilità, passata per atrocità
del reato.
Da
questa sentenza si ricava perciò il tentativo di nascondere alla vista il
“branco” con morale perbenista, preoccupati più di strumentalizzare
all’occorrenza quel "gruppo" per proprio vantaggio, che non per devitalizzare violenza: non destituendo dell'aggravante ciascuno dei violentatori.
Attraverso una pedissequa applicazione
della legge, non è certo che si favorisca Giustizia né un'adeguata elaborazione di quella sensibilità civile che in certi contesti sarebbe opportuna; ma neanche la piena e giustificata attuazione della Norma, in grado cioè di "applicare giustizia" a ciò che considerevolmente si può considerare ingiusto, senza per questo favorire accrescimento e sviluppo della coscienza etica e civile di un' intera società su temi tanto forti quanto difficili come la violenza sessuale. Ma che in altre parole si trasformano - fuor di metafora- in termometro della comune civiltà che ricorre il progresso.
Ci riferiamo alla mancata identificazione ed elaborazione di Obiettivi, o traguardi di percorsi di genere che è facile riconoscere come manchevoli di una caratterizzazione culturale, troppi casi sono aggravati solo da lentezza e ostilità.
Evidenziarne perciò certa portata destabilizzante, può costituire un monito al pericolo di regressione della civiltà, palesando giustificatamente timori per il reale.
C’è
un enorme bisogno di trasformazione e cambiamento che non deve intendersi come
un invito a passare sotto traccia gli effetti di certi giudizi.
Che suggerisce a tutti specie alle donne, di guardare a precisi orizzonti di senso: Giustizia e Dignità, che si guadagnano attraverso denunce auspicabilmente destinate ad
aumentare in numeri prossimi alla totalità; fiducia nella legalità e nonostante
tutto nella giustizia; creazione e sostegno alla rete di organizzazioni sociali
sui territori, creazione di presidi di legalità e destinazioni educative di
esperti, dal cui lavoro si guadagna miglioramento generale della convivenza e
accrescimento della civiltà tra uomini e donne.
Sostegno
alle donne attraverso la promozione del sentire femminile diffuso e sincero; protagonismo femminile che nella vita quotidiana dovrebbe essere vissuto come una
forma di <<contropotere>> non solo delle donne ma finalmente anche degli uomini; e per finire sollecitazioni delle istituzioni che spesso sanno essere immobili
o disattenti.
Questo perchè la violenza rivolta alle
donne da sempre, nel nostro paese coincide con una cultura che rappresenta
un interesse miope, teso a confermare il diritto degli uomini (certi
uomini) a disporre del loro potere fin nelle pieghe più nascoste della
convivenza familiare per esplodere nelle più articolate forme di violenza sociale che tutti conoscono.
Tutte le vittime della
violenza sessuata, hanno bisogno di giustizia; le sentenze sono importanti per
le vittime.
Servono anche per
sopravvivere a culture ostili.
Le vittime attendono sentenze.
Prove, per poter aspirare ad essere nonostante tutto, cittadine libere di poter
finalmente girare pagine di dolore. Riscrittura di nuovi capitoli di vita con Punti Fermi, che come in
questo caso la giustizia non è stata in grado di fissare.
Certe regole spesso sono irrise proprio da parte di chi deve tutelarle,
sostituendo nello stile di questo strano paese, le invenzioni propagandistiche
col senso del diritto.
Per i giudici della Cassazione tutto è accaduto come una concomitanza di eventi singoli. E la complicità evidente di clan familiari e di intere comunità
strette intorno agli stupratori, non costituisce contesto per la reiterazione
del reato; Non rappresenta in alcun modo pericolo o rischio sociale.
Per questa ragione, da questo sentire è bene dissentire poiché - quei giudici - hanno umiliato non la vittima in sè e per sé, ma la dignità di ciascuna donna, sorella, compagna o moglie.
Non è una questione di
vendetta, è il bisogno di sentire parlare le Istituzioni con parole dal significato inequivocabile.
E’ il bisogno di sapere che Non si
debba diventare complici di stupratori attraverso la giustificazione: "i bravi ragazzi che hanno sbagliato sarebbero stati magari provocati”
Giustizia non significa
che i minorenni colpevoli siano aspramente puniti per il fine in sé.
Non intendiamo ricevere
dal sistema giudiziario vendetta in nome e per conto del “fanatismo”, ma sollecitiamo
come cittadini di poter disporre di strumenti Rieducativi e socialmente
sanzionatori di certi crimini, quanto e più del carcere, per controllare i
delinquenti fino e non prima della ragionevole e fondata prova del loro
recupero alla convivenza pacifica con l'altro genere.
Per qualcuno invece far
tornare i colpevoli a scontare la pena, in quelle stesse famiglie ed in quei
contesti che magari li hanno giustificati o coperti, è ritenuta cosa buona e
forse incomprensibilmente giusta; la stessa che equivale a far tornare un
giovane manovale della n’drangheta, nello stesso ambiente che ha lo ha coltivato
nel proprio delinquere.
La terza sezione penale
della Corte di Cassazione, stabilendo che i principi interpretativi per i reati di violenza sessuale e gli atti
sessuali sul singolo, sono “in toto” applicabili anche alla “violenza sessuale
di gruppo”, ha equiparato la gravità dei due reati. Trasformando una sentenza
che vuole essere più garantista per l’applicazione delle misure cautelari e molto meno incisiva dal punto di vista della giustizia sostanziale e della civiltà.
E se l’articolo 3 della
nostra costituzione recita che <<Tutti i cittadini
hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione
di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di
condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e
sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini,
impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione
di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del
Paese>>, bisognerebbe finalmente Intendersi perciò - in modo definitivo- sul
significato delle parole “Persona" - "Umana” per porre l'interrogativo sul cosa è da intendersi per persone umane ed in quali forme intervenire, attraverso quali mezzi?
Per esempio cominciando ad Eliminare gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo delle vittime e dei carnefici? Oppure Non rimuovendo la libertà e la dignità di quegli stessi individui, attraverso norme inique della Repubblica (e ne restano molte), contro essi stessi Sub iugum miserunt.
Questa sentenza certo non sarà dimenticata se, il tempo che non trascorre complice, e soprattutto il silenzio non ostacola speranze con legittime aspirazioni di giustizia nella pari e uguale dignità umana e la destinazione orienterà non distorcendoli i nuovi Obiettivi specifici delle donne: Giustizia e Dignità.
Angela Maria Spina