lunedì 23 settembre 2013

Il Rischio Chiusura dei Centri Anti Violenza




E' arrivato in parlamento il DL sul femminicidio, nel quale neanche si fa esplicita menzione dei luoghi in cui, ogni anno, oltre 14mila donne trovano assistenza psicologica e rifugio, quando sono vittime di soprusi in famiglia. 
Molte di queste realtà sono allo stremo da tempo per mancanza di fondi. In tanti chiuderanno i battenti, questo senza che qualcuno gridi allo scandalo. E' normale in un paese civile?!...

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Finanziamenti a singhiozzo. Affitti salati da pagare. Rischio di sfratti. Pochissime risorse da investire. Il lavoro che si trasforma automaticamente in volontariato. Fino, in alcuni casi, alla chiusura di centri e case rifugio per donne maltrattate che dovrebbero svolgere un ruolo centrale e determinante nel contrasto alla "guerra silenziosa" che ogni anno fa in Italia centinaia di vittime.

La situazione dei centri anti violenza (CAV) in Italia peggiora di giorno in giorno, nell'indifferenza del Palazzo. Tagli e difficoltà ad accedere periodicamente alle programmazioni regionali, una mannaia. Il decreto sul femminicidio, varato durante l'ultimo Consiglio dei ministri prima della pausa estiva, non menziona nemmeno i CAV. Per Titti Carrano, presidente della D.i.Re (Donne in rete contro la violenza), nel dl manca "qualunque riferimento al riconoscimento del ruolo che i centri svolgono da anni in Italia: chiediamo il loro coinvolgimento nei tavoli tecnici che si occupano di violenza e lo stanziamento di specifici e adeguati fondi definiti nella legge di stabilità".

Un provvedimento (andrà in aula il 23 settembre) che esclude - come previsto dalla Convenzione di Istanbul - gli interventi di prevenzione. Come quelli svolti dai CAV: supporto legale e psicologico alla donna maltrattata, collaborazione con forze dell'ordine e servizi sociali, Telefono Rosa h24 per le emergenze, attività di promozione culturale con corsi nelle scuole, convegni, seminari e iniziative di vario genere. Poi le case rifugio per ospitare le donne in pericolo e impossibilitate a tornare a casa per paura del compagno aguzzino.

Sono 124 le donne uccise nel 2012 e 14mila quelle che si rivolgono, ogni anno, ai 63 centri anti violenza aderenti a D.i.Re. A questi vanno aggiunti un'altra quarantina autocensiti per un totale di 100 centri presenti sul territorio nazionale. E nel 2013 sono in aumento le donne che si rivolgono ai CAV, sintomo di una maggiore consapevolezza.

"E' arrivata un'ingiunzione di pagamento, siamo a rischio sfratto" denuncia Cinzia Maroccoli, presidente del CAV di Potenza, l'unico dell'intera Basilicata. Si caratterizza per costituirsi parte civile ai processi contro gli uomini maltrattanti. Aperto dal 1989, fino al 2001 è andato avanti con autofinanziamenti. "I soldi arrivano a singhiozzo - spiega - Siamo ancora in avanzo della cifra del 2011 mentre non conosciamo ancora l'importo per il 2013". In mancanza di risorse, ecco la riduzione dei servizi, il lavoro delle operatrici che diventa volontariato e la morosità nella locazione di 1200 euro al mese. Il CAV ha anticipato soldi e si è indebitato con la banca, con la speranza che arrivino i finanziamenti regionali. Prima o poi. Assenti le risorse per ampliare la casa rifugio al momento capace di ospitare 5 donne. "A volte dobbiamo rifiutare le richieste per mancanza di posti e indirizzare le donne maltrattate verso altre strutture di accoglienza" spiega la presidente "La nostra è precarietà esistenziale, non riusciamo a prospettare un intervento di lungo periodo. Ci negano un futuro". E due signore ospitate sono all'ottavo mese e sul punto di partorire.

Altri centri rifugio sono stati costretti direttamente a chiudere. Come il caso a Cosenza del "Roberta Lanzino". Parliamo con la responsabile, Antonella Veltri, che racconta come nel 2010 abbiano preso la sofferta decisione per la mancanza di fondi. Ad oggi sono morosi con il proprietario dello stabile. Rischiavano di chiudere anche il centro di supporto legale e psicologico, per fortuna è arrivata una boccata d'ossigeno: "La Provincia ci ha assegnato un posto". Un passo importante.
"Ovviamente il lavoro" afferma Veltri "resterà volontario e una qualsiasi spesa sarà coperta da autofinanziamenti o iniziative autorganizzate (riffe o vendita di candele per strada)". I pochi spiccioli in arrivo dalla Regione non sono sufficienti.

Se al Sud si evidenziano situazioni limite, al Nord i CAV versano in condizioni poco migliori. A parte il Trentino che è la regione più virtuosa e più attenta al finanziamento dei centri. Secondo un calcolo dell'Unione europea, ogni Paese dovrebbe prevedere un posto sicuro per vittime di violenza di genere ogni 10mila abitanti. In Italia ne servirebbero circa 6mila. Nella realtà sono soltanto 500. A fine anno potrebbero essere ancora meno le case rifugio. Così come le operatrici spesso disincentivate da tale corsa ad ostacoli.

In Emilia Romagna il CAV di Lugo adesso è riuscito ad accedere a finanziamenti comunali ma ha rischiato la chiusura. "Il nostro è volontariato puro" racconta Nadia Somma, presidente dell'associazione Demetra donne in aiuto "Abbiamo ridotto a 6 ore alla settimana il nostro intervento: tra affitto, rimborso benzina, elaborazione progetti, spese varie non avevamo più soldi". E invece servirebbero risorse anche per corsi di formazione a procure e forze dell'ordine: "Spesso" continua Somma "un agente confonde le violenze domestiche per conflitti familiari non intervenendo a dovere sul compagno maltrattante". Mentre nel caso di affidi in comune, si costringe la donna a continuare ad incontrare l'uomo che dopo il distacco diviene maggiormente violento.

La rete D.i.Re promette battaglia per modificare il decreto in Parlamento. Così come alcuni parlamentari sensibili al tema. Celeste Costantino, deputata di Sel, ha intrapreso un viaggio nazionale nei centri, chiamato #RestiamoVive, per testimoniare le difficoltà in cui versano queste strutture, raccogliere dati e numeri, ascoltare dalla viva voce delle operatrici le difficoltà del lavoro quotidiano: "Dal Nord al Sud del Paese i CAV si ritrovano a lavorare in una situazione davvero insostenibile. Al più presto serve un piano di finanziamento nazionale per la prevenzione, percorsi di aiuto per gli uomini maltrattanti, un Osservatorio nazionale, l'introduzione dell'educazione sentimentale nelle scuole, proposta di legge, quest'ultima, che ho già depositato. Il dl femminicidio è stato scritto senza tenere conto della complessità del tema e con un'ottica da 'pacchetto sicurezza'. Un'occasione persa dopo aver votato all'unanimità la Convenzione di Istanbul".

                                               Giacomo Russo Spena



Fonte: L'Espresso

venerdì 13 settembre 2013

I 100 modi di Aiutarsi di Uomini e Donne... Perchè gli Uomini vengono da Marte e le donne da Venere....


Per Aumentare Testosterone e Ossitocina




Abbiamo visto che il benessere maschile deriva dalla produzione di testosterone, tanto quanto quello femminile deriva dalla produzione di ossitocina.
Negli stessi articoli abbiamo visto come il proprio partner possa aiutare ad accrescere questo benessere e come, di converso non farlo abbassare.
In questo articolo, affronteremo invece, come aiutarsi, da sé a aumentare il livello di questi ormoni.
L’UOMO ED IL TESTOSTERONE
Tutto ciò che è mirato al raggiungimento di un obiettivo ed allo svolgimento di un’azione, aiuta l’uomo a ripristinare il suo livello di testosterone.
Il livello di testosterone si abbassa con lo stress, quindi, il relax, rialza i valori del testosterone. Non a caso, infatti, il livello plasmatico di testosterone nel sangue degli uomini è più alto nei week-end. Il livello si alza anche durante i giorni di luna piena, da cui il sostantivo “allupato”.
Lavorando l’uomo esaurisce le sue riserve di testosterone e quando termina ha bisogno di rilassarsi per ripristinarle; questo processo si avvia di solito al tramonto. Se non gli viene concesso un po’ di tempo per recuperare, in silenzio, il livello di testosterone si abbassa ancora, compromettendo l’umore dell’uomo, che diventa cupo, scontroso, irritabile o passivo. Il momento del picco di testosterone si ha di mattina presto appena svegli.
Con la pubertà e l’ingresso nel mondo adulto, la secrezione dell’ormone testosterone aumenta anno dopo anno. A partire dai 30 anni inizia però un lento declino (se ne perde circa l’1% ogni 12 mesi).
Livelli bassi si rilevano nella cirrosi epatica, nell’insufficienza renale, nella terapia estrogenica, negli squilibri alimentari (malnutrizione e obesità) ed in generale, in caso di stress. Infatti, il pregnolone, che è un precursore esclusivo o del cortisolo o del testosterone, con l’aumentare dello stress si trasforma in cortisolo anziché in testosterone…
Qualsiasi attività o non attività destinata a “staccare la spina”, aiutano l’uomo ad abbassare il suo livello di stress e quindi ad alzare quello di testosterone.
Per favorire l’abbassamento dello stress in un uomo, oltre, il più volte detto, sacrosanto silenzio e dolce far nulla post lavoro:
- Fare qualcosa con gli altri uomini, come rincorrere un pallone o tirare le freccette, ovvero raggiungere un obiettivo.
- Andare al cinema a vedere un film d’azione. La grandezza dello schermo e gli effetti sonori, contribuiscono significativamente ad abbassare lo stress maschile.
- Concedersi il dolce far nulla
- Svolgere attività cardiovascolari o footing
Avete mai sentito dire che gli uomini calvi (forse per questo oggi è diventato di moda!) siano più virili? E’ vero, una quantità eccessiva di testosterone si trasforma in DHT (diidrotestosterone), che si lega al bulbo pilifero del capello, atrofizzandolo e portando la calvizie…
Spauracchio di ogni dieta, i grassi sono in realtà fondamentali per la salute maschile, poiché favoriscono la produzione di testosterone. L’importante sta nel consumarne la giusta “qualità” oltre che quantità: utili per potenziare la massa muscolare sono quelle che troviamo in molta frutta secca e nell’olio d’oliva, insieme agli acidi grassi omega-3 e omega-6. Importanti per il testosterone sono, tra l’altro, le vitamina A, la vitamina C e la Vitamina D e lo zinco.
Anche le diete di troppe fibre e senza carni rosse sembra tendano a far diminuire il livello ormonale.
ACCORGIMENTI CHE AIUTANO AD AUMENTARE I LIVELLI DI TESTOSTERONENELL’UOMO:
1) Sentirsi sicuro di sé e delle proprie capacità ed avvertire la fiducia della propria donna
2) Fare sesso.
3) Pigiare sul pedale dell’acceleratore (ma, senza una donna al fianco)
4) Mangiare più carne rossa
5) Stare alla larga dall’alcool. Gli studi del dottor Jakob Vingren dell’Università del Connecticut, suggeriscono che la dose massima consentita sembra essere intorno a due bicchieri al giorno. Ma il vino, soprattutto quello rosso, a basse dosi è quasi una medicina.
6) Attività di pesistica in palestra. Alcuni studi condotti in Finlandia hanno scoperto che chi pratica sollevamento pesi per due volte la settimana riesce ad aumentare del 49% i suoi livelli di testosterone.Si deve però seguire un programma abbastanza intenso, ad esempio esercizi di base come squat, panca piana, sollevamenti da terra, rematore. Non bisogna però dimenticare il recupero. Il sovrallenamento infatti porta ad una diminuzione netta del testosterone nel sangue. Quindi pensare ad almeno un giorno di pausa ogni due sedute.
7) Proteine e massa magra.
8) Pesce e frutta secca.
9) In bici non usare sellini troppo stretti e rigidi.
10) Preferibile non usare cosmetici all’olio di lavanda e albero del tè. Una ricerca ha infatti dimostrato una connessione tra queste sostanze e lo sviluppo di ginecomastia negli uomini per un abbassamento del testosterone.
I MODI DELLA DONNA DI AIUTARSI, CON LA PRODUZIONE DI OSSITOCINA
Esistono diversi modi in cui la donna può incrementare l’ossitocina presente nel suo organismo ed essi originano dai suoi bisogni fondamentali, come donna, moglie, madre ed amica :
la condivisione
il dialogo
la sicurezza e protezione
la pulizia
la bellezza
la routine, ritmo e regolarità
attività di volontariato
attività creative
attività ricreative
il ritrovarsi, almeno una volta a settimana, con le amiche, per quattro chiacchiere
cercare il più possibile, ma almeno una volta a settimana, di essere femminili al massimo
Consigliati dal guru della coppia, il Dott. John Gray, autore della serie “Gli uomini vengono da Marte e le donne da Venere“, i 100 modi della donna di aiutarsi sono:
l. Fare un massaggio.
2. Andare dal parrucchiere.
3. Fare una manicure/pedicure.
4. Progettare una serata con le amiche.
5. Parlare al telefono con un’amica.
6. Pranzare con un’amica per motivi che non siano di lavoro.
7. Cucinare con un’amica e sparecchiare insieme.
8. Meditare quando si cammina o fare esercizi di respirazione profonda quando ci si allena.
9. Dipingere una stanza insieme ad amici o familiari.
10. Ascoltare musica.
11. Cantare sotto la doccia.
12. Prendere lezioni di canto.
13. Cantare in un coro.
14. Fare un bagno aromatico.
15. Cenare a lume di candela.
16. Fare spese per divertimento con un’amica.
17. Andare un giorno in una spa o fare una vacanza in una spa con amici.
18. Fare un trattamento al viso.
19. Seguire un programma di allenamento con personal trainer.
20. Frequentare un corso di yoga.
21. Frequentare un corso di ballo.
22. Camminare per almeno un’ora.
23. Incontrare regolarmente un’amica per una passeggiata.
24. Preparare da mangiare per una coppia di amici che ha appena avuto un bambino.
25. Preparare da mangiare per amici e familiari ammalati.
26. Piantare rose e altri fiori profumati in giardino.
27. Comprare fiori per la casa.
28. Piantare e curare un orto.
29. Andare al mercato.
30. Preparare un pasto con i prodotti del proprio orto.
31. Fare un’escursione a piedi.
32. Fare una gita in tenda con amici.
33. Tenere un bambino piccolo.
34. Coccolare, tenere o occuparsi di un animale domestico.
35. Prendersi «una pausa» con un’amica.
36. Chiedere un regalo.
37. Chiedere aiuto.
38. Prendersi tutto il tempo di curiosare in un negozio di libri.
39. Leggere un buon libro.
40. Raccogliere le ricette migliori delle amiche.
41. Fare un corso di cucina.
42. Procurarsi un aiuto per cucinare, pulire, fare la spesa e curare la casa.
43. Procurarsi un abile tuttofare per le riparazioni di casa.
44. Progettare attività divertenti per la famiglia.
45. Trasformare un pasto in un’occasione speciale usando i piatti e le tovaglie migliori.
46. Partecipare a una riunione insegnanti-genitori.
47. Cucinare qualcosa per una raccolta di fondi.
48. Andare a teatro, ai concerti, ai balletti.
49. Fare un picnic con amici e familiari.
50. Progettare eventi speciali, da attendere con gioia.
51. Entrare a far parte di un’associazione di mamme o fondarne una.
52. Occuparsi di bambini.
53. Dare da mangiare a chi ha fame.
54. Leggere riviste che trattino di moda e personalità varie.
55. Frequentare regolarmente incontri spirituali e religiosi.
56. Tenersi aggiornate sulla vita degli amici.
57. Guardare il programma televisivo preferito 0 un dvd con un’amica.
58. Ascoltare cassette o cd in grado di stimolare e dare la carica.
59. Parlare con il proprio terapeuta o telefonargli.
60. Conoscere una nuova cultura e assaggiarne la cucina.
61. Passare un po’ di tempo sulla spiaggia, lungo un fiume o un lago.
62. Imparare a sciare, a giocare a golf o a tennis con gli amici.
63. Andare a degustazíoni di vino con gli amici.
64. Partecipare a una dimostrazione per una causa sociale o politica.
65. Andare o partecipare a una parata.
66. Farsi aiutare da qualcuno per buttar via le cianfrusaglie che si hanno in casa.
67. Offrirsi di aiutare un amico a fare qualcosa.
68. Fare un corso di alimentazione, cucina o benessere.
69. Leggere o scrivere poesie oppure andare a una lettura di poesie.
70. Comprare una mangiatoia per uccellini e ammirarli mentre si sfamano.
71. Visitare un museo d’arte.
72. Andare al cinema di pomeriggio.
73. Andare all’incontro con un autore nel negozio di libri o nella biblioteca della zona.
74. Tenere un diario quotidiano dove annotare pensieri e sentimenti.
75. Creare un diario fotografico per ogni figlio.
76. Creare un elenco di e-mail degli amici cui mandare fotografie recenti.
77. Chiedere loro di fare altrettanto.
78. Realizzare un elenco di e-mail di amici con idee politiche simili per sviluppare una forma di sostegno reciproco.
79. Frequentare un corso di pittura o scultura con un’amica.
80. Lavorare ai ferri una sciarpa per qualcuno cui si vuole bene.
81. Andare a bere un caffè con gli amici.
82. Fare una donazione per beneficenza.
83. Riorganizzare l’armadio.
84. Cambiare colore di capelli.
85. Comprare un vestito nuovo
86. Acquistare biancheria sexy.
87. Mostrare il proprio album fotografico agli amici.
88. Iscriversi in palestra.
89. Giocare a carte con gli amici.
90. Seguire un nuovo regime alimentare o disintossicante per migliorare la propria salute.
91. Dare i vestiti vecchi ai poveri.
92. Mandare un biglietto d’auguri per un compleanno.
93. Usare prodotti per la casa non dannosi per l’ambiente.
94. Preparare e congelare qualche piatto per le occasioni in cui non avrà voglia di cucinare.
95. Fare un corso per imparare l’arte di disporre i fiori.
96. Fare volontariato in un ospedale o in un centro per cure palliative.
97. Organizzare una festa a sorpresa per un amico.
98. Donare libri usati all’ospedale e alla biblioteca locale.
99. Fare da baby-sitter al bambino di un’amica in modo che lei possa avere un po’ di tempo per sé.
100. Prendersi un po’ di tempo per fare stretching durante la giornata.

                                                                    Angela Flammini








Fonte: Psicolab

                                                                   

giovedì 5 settembre 2013

Lettera aperta al Ministro Carrozza.


L'ultimo concorso per docenti è stato inutile, dispendioso, francamente vergognoso, perché per molti versi è stato dannoso. Nonostante tutta la retorica sulla meritocrazia che è stata sparsa, i metodi di selezione sono stati totalmente sballati. 


Io sono stato un bravo concorrente, ho capito quello che di scaltro potevo fare e l’ho fatto, ottenendo voti alti. Ma questo quasi non ha nulla a che fare con la mia capacità didattica né con la mia preparazione.




                               




                               Gentile Ministro Carrozza,

nelle settimane passate mi è venuto in mente varie volte di scrivere questa lettera, e il motivo era simile al tono che avrei usato: una rabbia diritta ed emetica.
Ma per una serie di ragioni, anche personali, ho pensato di provare a usare un tono pacato e di mettere in discussione alcuni presupposti, invece di trasformare subito il ragionamento in uno sfogo per molti versi sacrosanto. 

Le voglio parlare del concorso.   Il Concorsone, quello che ha coinvolto centinaia di migliaia di docenti. Compreso me. Gliene parlo da una posizione disagevole. Siamo ai primi di settembre e, per quanto mi riguarda, non so come è andata: ossia non so se sono uno dei fortunati 11.000 e passa che avrebbero dovuto entrare di ruolo di quest'anno.
O meglio, diciamola così, so per certo che non entrerò di ruolo quest'anno, ma potrei aver vinto il concorso, in quanto ho partecipato alle preselezioni totalizzando 44/50, passando lo scritto (con 38/40) e l’orale (con 40/40). Quindi forse potrebbe essere mio uno dei 26 posti della classe A037 – Filosofia e storia – messi a bando dalla Regione Lazio, per cui ho concorso con all'incirca mille persone, forte del fatto che ho una laurea con 110 e lode, un'abilitazione ottenuta attraverso la SSIS con votazione 97/100 e qualche pubblicazione (che ancora non so se mi è stata valutata e come), nonostante non abbia invece né dottorati né master né altre abilitazioni.

Ora, dunque, pur avendo fatto uno splendido esame e avendo accettato tutte le regole del caso, sono giunto a una conclusione praticamente identica al pregiudizio che avevo quando il medesimo concorso è stato indetto dal Suo predecessore, il ministro Profumo: questa selezione è inutile, è stata inutile e forse anche dannosa, per la sostanza e per il modo in cui si è svolta. Cosa me lo fa pensare? Io non sono un insegnante migliore di molti che hanno concorso con me.
 E non lo dico per modestia – falsa o vera che sia –, lo dico perché, da una parte, facendo l'insegnante anche solo da cinque anni ho acquisito una certa capacità di autovalutazione. Dall’altra, perché penso che i metodi di selezione siano totalmente sballati: io sono stato un bravo concorrente, ho capito quello che di scaltro potevo fare per andare bene al concorso e l'ho fatto, prendendo voti alti, ma questo non ha nulla a che fare con la mia capacità didattica né con la mia preparazione.

Partiamo dalla prova preselettiva: moltissimi miei colleghi si sono preparati per mesi sui test di logica e logica matematica, anche su quei libri da 45 euro che le case editrici di test avevano tirato fuori per l'occasione; io no.
 Persone con una capacità didattica innegabile e una professionalità indiscutibile non sono passate, io sì.
 Da bambino ero un nerd appassionato di Settimana Enigmistica che faceva i quiz del Mensa Test; molti miei colleghi no.
 Anche persone che conosco e che insegnano da vent'anni, giustamente amatissime dai loro studenti, o che hanno un contratto all’università per insegnare Storia della filosofia – insegnanti migliori di me, anche solo per l'esperienza accumulata.
 I quiz erano di una elementarità disarmante per certi versi, ma lo erano soprattutto per chi è abituato a ragionare in quel modo. 
Ho proposto quei quiz ai miei studenti, la percentuale di quelli che l'hanno passato è stata superiore alla percentuale (35%) dei docenti che hanno superato le preselezioni: cosa dovrei concludere? 
Che ragazzi adolescenti di uno scientifico siano dei potenziali insegnanti, migliori di coloro che magari hanno alle spalle vent'anni di pratica e che magari sono proprio i loro insegnanti?

Veniamo allo scritto. Per la mia classe si trattava di un compito di Filosofia e uno di Storia con quattro risposte aperte a materia, per rispondere alle quali si avevano venti righe a domanda e cinque ore in tutto. 
Forse la parte meno insensata della selezione, anche se con alcuni elementi di grande ambiguità. Non si capiva come dovevamo effettivamente prepararci.
 Dovevamo farci un'ammazzata modello Trivial Pursuit su tutto lo scibile umano (comprese parti che mai abbiamo insegnato e non insegneremo mai, tipo Storia romana e Storia greca), oppure prepararci sulla didattica delle nostre materie?
 Dovevamo studiare solo le discipline oppure anche tutta la parte di Amministrazione della scuola, Storia della scuola, Diritto complementare – che molti miei colleghi avevano anche schematizzato generosamente, a partire dai comodi manuali comprati anche questi a 45 euro l'uno?
 Io non mi sono preparato. 
Ho svolto bene la parte di filosofia – perché mi sono capitati argomenti che sapevo, che tratto in classe e su cui ho presente riferimenti bibliografici –, mentre ho scritto banalità o errori su domande di Storia che non ho mai fatto né farò mai a lezione (la Grecia del V secolo a.C. e l’Islam dell’VIII secolo). 
Ma soprattutto credo "di aver imbastito bene", come si dice tra noi giovani docenti di 40 anni. Ossia ho utilizzato al massimo la mia capacità di articolare discorsi anche su argomenti che magari non padroneggio tanto.
 A differenza di molti miei colleghi, che avevano passato mesi a studiare filosofi minori, a ripetersi date di storia, a citare articoli a memoria sulla formazione degli organi collegiali, sono stato premiato. 
Non c'è stata nessuna domanda sulla giurisdizione scolastica: i mesi che i miei colleghi avevano impegnato a studiarsela sono stati inutili.

L'orale è stata una replica in peggio dello scritto: non era chiaro per nulla su che cosa potevamo essere interrogati, né come. 
In base alle nostre competenze, come si dice, avremmo dovuto essere dei super-esperti di valutazione, eppure avevamo nostro malgrado un'idea confusissima di come saremmo stati valutati. 
L'esame si è svolto in questo modo: il giorno X si è estratta una traccia tematica su cui approntare in 24 ore un'unità didattica da esporre il giorno successivo davanti alla commissione. 
Per la nostra classe di concorso si potevano estrarre cose tipo Il contratto sociale di Rousseau o Il sistema feudale o La teoria del tre stadi di Comte… 
Ci si è trovati dunque, padri e madri e divorziati, ingrigiti e stempiati (una media anagrafica di 40 anni), proiettati all'indietro di vent'anni come davanti a una sessione universitaria o a una maturità.
 Ci si chiedeva: come la valuteranno questa prova? Si può usare il computer? Si può usare la lavagna elettronica? Si deve usare il computer per mostrare le slide in Powerpoint? Si deve usare la lavagna elettronica, e quale software? Si deve parlare dei ragazzi con disturbi dell'apprendimento? Ci valuteranno sui contenuti o per la didattica? Devo studiarmi un po' di pedagogia? Devo leggermi e prepararmi su cinque classici della Storia della filosofia a scelta, come pare a un certo punto fosse prevista da un'indicazione del Ministero? La parte di Giurisdizione della scuola la chiedono ora, visto che allo scritto non l'hanno chiesta? E la prova in lingua in cosa consiste: devo prepararmi una parte dell'unità didattica in lingua? E la parte di competenze informatiche: devo studiarmi qualche tipo di dispense? Quanto dura questo colloquio? Cosa possono chiedere: tutto il programma di Filosofia e Storia comunque? E chi sono queste persone che mi valutano? Da chi è composta questa commissione che in aule scalcinate, con dei proiettori che a mala pena riescono a illuminare i muri, ci stanno esaminando? Saranno utili questi altri comodi manuali da 45 euro l'uno che le case editrici di test hanno sparso a valanga nelle librerie? E i corsi on-line, che mi vengono proposti ogni giorno e mi spammano la mail probabilmente solo perché sono andato su internet a cercare informazioni?…

Non sono domande pleonastiche.
 Erano le domande che ci siamo fatti, io e i miei colleghi candidati, nei giorni precedenti al nostro esame. 
Cercavamo, come matricole imbecilli, di andare a carpire qualche dritta da quelli che, sfortuna loro, facevano l'esame prima di noi. Senza essere liquidatori, sta di fatto che eravamo tutti preparati male, anche per il semplice motivo che non si è davvero capito cosa voleva dire essere preparati bene.
 E le chiacchiere di corridoio prima o post-esame erano umilianti: "Devi imbastire", "Gli devi fare una supercazzola", "Me so arrampicato sugli specchi"... Come a un esame preparato in fretta all'università per non partire militare. 
Regrediti, vergognosi, un po' umiliati ma non umili. E la colpa non era nemmeno degli esaminatori, che a quanto pareva avevano accettato l'incarico con ancora meno indicazioni di noi (Che tipo di preparazione ad hoc gli è stata richiesta? Quanto sono stati retribuiti?).
 Sfatti dal caldo, arresi a quella forma di fatalismo che è l'unica filosofia di vita che abbiamo imparato davvero tutti tra i banchi di scuola, la selezione per la classe dei docenti futuri si è svolta così, con molta indulgenza reciproca, con qualche imprescindibile arbitrio.
 Nella mia commissione d'esame ho ritrovato una professoressa che era stata la mia tutor alla SSIS: a suo tempo c'avevo litigato per questioni didattiche, e cinque anni dopo ho dovuto sperare che si fosse dimenticata o non facesse valere un'irritazione postuma (così è stato, per fortuna).
 Mi sono anche chiesto, però, insieme a miei ex-colleghi di SSIS, perché dovessi essere riesaminato da una stessa persona. Fatto sta che ho preso il massimo, dopo un colloquio cordiale. Non so se ho fatto un esame migliore degli altri. Sicuramente so parlare in pubblico, sono disinvolto, e sono stato abile nel riportare tutta l'esposizione dei contenuti al profilo didattico; la cosa che davvero ha fatto la differenza è che insegno da cinque anni e ho – per quanto limitata – l'esperienza dello stare in classe.

In definitiva, e lo dico di nuovo con totale sincerità, non penso di essere un professore bravo.
 Penso di essere un professore medio che potrebbe diventare bravo. Come molti. E in un modo semplice: se, per esempio, invece di prepararmi per sei mesi in maniera scomposta e abbarbicata a questo concorso, avessi frequentato un solido, qualificante, obbligatorio corso di aggiornamento, in cui formarmi in maniera seria da un punto di vista pedagogico, avrei potuto cominciare a avere una formazione psicologica (cosa che nella scuola non è contemplata nonostante tutti i giorni abbiamo a che fare con ragazzi che questo tipo di competenza ci richiedono).
 Avrei veramente capito come utilizzare alcuni strumenti informatici in modo utile alla didattica, o altro... Tutto questo non è accaduto.
 Si è invece scelto di indire un concorso, che quest'anno metterà in ruolo un quinto? un ottavo? un decimo? dei vincitori. 
Sicuramente non me, anche se, Dio volendo, dovessi aver vinto questo concorso. Sicuramente non me perché la Regione Lazio, di fronte alla possibilità di valutare le prove entro il 31 agosto, data limite per l'assegnazione delle cattedre, si è chiamata fuori. Ha detto: "Noi non ce la facciamo sicuro". 

Dovrei essere, lo capisce bene, Signor Ministro, arrabbiato.
 Ma non lo sono, cerco di non esserlo. Vorrei parlarle da cittadino adulto a cittadino adulto, vorrei togliermi quell'aria da esaminato ansioso e scaramantico che ho tenuto per tutti questi sei mesi e che mi ha fatto sentire come regredito a un livello adolescenziale del mio essere cittadino – uno che cerca di svoltare, in definitiva, di elevarsi dalla palude dei suoi coetanei precari, di lasciarsi dietro gli anni di purgatorio lucrando un'indulgenza plenaria.

Vorrei dirle semplicemente che così non va. 
Che tutta la retorica della meritocrazia, della selezione, con cui è stato approntato questo concorso si è dimostrata sostanzialmente appunto retorica
Per non citare la funzione di propaganda politica che ha avuto per il governo Monti
Ma non voglio parlare di mala fede, buona fede, indignazione, come hanno cominciato a fare i giornali già dagli ultimi giorni.
 Repubblica titolava Il concorso si trasforma in una beffa, e raccontava in calce all'articolo storie surreali come quella di un docente molisano che ha vinto il posto ma che probabilmente, per la velocità delle immissioni in ruolo dovrà aspettare un paio di decenni. 
Un mio conoscente su Facebook mi scriveva quest'altra storia paradossale commentando il bailamme del concorso: "A proposito di meritocrazia, la mia esperienza è questa. Faccio le supplenze nei primi anni Novanta, poi nel 1999/2000 il concorso ordinario (discipline giuridiche ed economiche). Arrivo secondo in Sardegna nella mia classe di concorso, su circa 2.000 aspiranti. C'erano quattro cattedre, per l'ordinario (due date ai riservisti), una la prendo io. Ora, dopo quasi vent'anni (con la ricostruzione di carriera), ho perso la titolarità, sono diventato soprannumerario e quindi d.o.p., e vengo utilizzato ogni anno in una diversa sede, a disposizione. Cioè sto in sala professori e tappo i buchi.
 Che abbia vinto il mio concorso col punteggio più alto (il primo mi precedeva solo per l'età) non conta nulla. 
La legge prevede che possa essere trasferito ad altra amministrazione e, ove questo non sia possibile, messo in mobilità per due anni e poi licenziato. 
Le mie pubblicazioni e anche un'eventuale altra laurea non contano un tubo". 
Le potrei citare le lamentele legittimissime di tutti coloro che l'anno scorso hanno fatto un esame, poi hanno pagato duemila euro per frequentare un TFA, si sono abilitati, e quest'anno si sono ritrovati con un totale deserto davanti; le graduatorie chiuse, e la totale incertezza sul loro destino, il loro destino professionale rispetto al concorso. E questa è la normalità.

Però non voglio arrabbiarmi, perché vede, Signor Ministro, non è mai stata mia la retorica della meritocrazia, anzi l'ho combattuta, ho cercato di seguire chi in questi anni – come Girolamo De Michele, Giuseppe Caliceti, Federica Sgaggio, Michele Dantini, per fare degli esempi – ha mostrato che dietro questa retorica si celino forme di valutazione più arbitrarie; ma invece di ribellarmi, come ha scelto legittimamente di fare qualche mio collega, sono stato pedissequamente alle regole e mi sono sottoposto a questo concorso. 
Questo è il risultato. Dunque, non voglio dire che avevo ragione a sbeffeggiare le interviste del ministro Profumo, quando un anno e mezzo fa rivendicava questo concorso come uno dei successi più importanti del suo governo. 
Sicuramente non avevo del tutto torto, ma non voglio prendermela con lui, né con tutti quei governi – compreso questo – che dicono di mettere la scuola al primo posto e poi di fatto ne fanno strame... 
Non m'interessa più lanciare accuse, vorrei che da oggi questa modalità di gestire il mondo della scuola e dell'università cambiasse, vorrei che agli ex-provveditorati non ci fossero quelle scene da western a settembre quando si assegnano le cattedre i primi di settembre, vorrei poter diventare un insegnante migliore, più preparato, più capace, senza dover inventarmi ogni giorno io il modo e forse stufandomi di farlo per pigrizia o forse sbagliando per una qualunque presunzione o ingenuità.

E basta con qualunque retorica, "i tablet in classe", "la scuola 2.0", "le meritocrazie", "le tre I": servono soldi. 
Servono insegnanti pagati bene. Servono ispettori che abbiano gli strumenti per valutare e garantire l'offerta formativa. 
Servono corsi e corsi e corsi di aggiornamento. Servono tanti investimenti di lungo e periodo.
 Serve un piano di rifondazione della scuola in nome del quale chiedere tasse giuste, anche ad hoc. 
Non credo, e vorrà concordare, che si tratti di scelte politiche, ma di scelte "biologiche": è l'istinto di sopravvivenza, ancora prima che quello di evoluzione.

                                                            Cordialmente,

                                                     Christian Raimo






Fonte:  da linkiesta.it