venerdì 21 ottobre 2011

Nostra Signora della Pittura: Sofonisba

        


Sofonisba Anguissola (1532/3 - 1625)







 Figlia del ben noto pittore Amilcare Anguissola, piccolo nobile di Cremona, e di Bianca Ponzoni, prima di sette figli, a lei e al fratello Asdrubale spettò continuare, nel nome, la “saga cartaginese”, iniziata dal nonno Annibale e dal padre Asdrubale.

Contrariamente alle abitudini del tempo, ma con una lungimiranza e una modernità notevole, Amilcare Anguissola, pensò di coltivare le virtù delle sei figliole, avviandole non solo allo studio della letteratura e della musica campi già aperti all’esplorazione del talento femminile sebbene poco praticate dalla moltitudine di donne; ma anche della pittura, accendendo soprattutto intorno a Sofonisba grandi attese.

Accordatosi con il pittore Bernardino Campi, giovane
destinato  a una carriera folgorante nella Lombardia spagnola,
mandò a bottega le due figlie maggiori Sofonisba ed Elena
 affinché imparasseroa disegnare e dipingere.



Dopo il tirocinio Elena però decise di entrare in convento.
Certamente le due ragazze non frequentarono la bottega vera
 e propria, accanto a garzoni e apprendisti di ogni risma, ma 
ricevettero un’educazione all’arte, in particolar modo dedicandosi allo studio dei 
ritratti “dal naturale” e tralasciando, invece, l’invenzione di soggetti religiosi.


Sofonisba si specializzò nel ritratto e insegnò le tecniche alle sorelle.





Il padre di Sofonisba fu ottimo propagandista della figlia, più talentuosa delle altre provvedendo a promuoverne la fama nelle varie corti d’Italia, 
dove ebbe grande successo facendo  la fortuna della famiglia.

I dipinti più celebri di Sofonisba nascono in ambiente domestico,
Pittrice prolifica: più di 30 dipinti firmati sono a Cremona,
 con un totale di circa 50 opere
che con ogni certezza sono sicuramente tutte a lei attribuite.



Sofonisba Anguissola, tra le artiste più celebrate del suo tempo e nota ben oltre i confini dell’Italia, raggiungendo una notorietà al tempo assolutamente insolita ed eccezionale per una donna artista.
Grazie alla sua arte e al suo carattere riuscì a rompere con gli schemi sociali dell’epoca, assumendo un ruolo che allora pochissime potevano vantare.

Annoverata tra le prime donne artiste dell’era moderna, con la particolarità di essere elevata 
alla fama non come parente o moglie di pittori, ma in virtù di capacità proprie.

Certo, essendo nobile di nascita, come le sue sorelle, non esercita la pittura di mestiere vendendo le sue opere, ma limitandosi ad elargirle sotto l’egida del padre, di un marito, o addirittura di una corte.

Sofonisba e le sue sorelle esercitarono “nobilmente” la pittura, senza ricevere mai commissioni ufficiali , ma di sicuro ebbero privilegi, stoffe, gioielli o altri doni adatti al loro rango e riconoscimenti da altissimi personaggi della politica e dell’arte. 

La fama della Anguissola è dovuta soprattutto ai ritratti, che essa tratta in maniera del tutto personale, trasformandoli in scene di genere.

Ancor più vero quando i ritratti appartengono alla cerchia familiare, quando non è imperativo il formalismo dettato da soggetti la cui importanza non esclude del tutto il traguardo della 
raffigurazione dei moti dell’animo, in cui eccelle.


 Il suo dipinto "Ragazzo punto da un gambero" del 1555 entra a far parte della collezione di Cosimo I de’ Medici, duca di Firenze e si dice abbia ispirato il Caravaggio per il dipinto Ragazzo morso da un ramarro.


Negli anni Cinquanta la cultura artistica di Sofonisba fu ulteriormente sollecitata dal padre che provvide a stabilire contatti con Mantova, Ferrara, Parma, Urbino e infine con Roma per completare l’educazione della figlia e promuoverla presso quelle corti.


Dopo un breve soggiorno trascorso a Milano, presso la corte del duca di Sessa (probabilmente accompagnata, oltre che dai genitori, anche da Lucia), l’artista lasciò definitivamente la Lombardia, dove non avrebbe fatto mai più ritorno per tutto il resto della sua lunga vita, raggiungendo entro la fine dell’anno la Spagna.


Prese intensamente parte alla vita di corte, suscitando il commento e l’interesse di molti ambasciatori accreditati presso il re.

Anche se nessun documento ufficiale menziona mai, in alcun modo, il suo ruolo di pittrice-ritrattista, Sofonisba dipinse numerosi ritratti, ufficiali e non, dei personaggi principali della famiglia di Filippo Il e per alcuni mesi addirittura insegnò alla giovanissima regina a disegnare direttamente dal vero, sostituendo con tale novità le normali attività muliebri, come riferito da numerosi sbalorditi testimoni oculari.

ritratto di Isabella de Valois
Quando Isabella di Valois morì di parto nel 1568, tutte le dame del suo seguito tornarono alle famiglie d’origine; solo Sofonisba, affranta, rimase presso la famiglia reale probabilmente perché il rientro a Cremona, a un’età ormai matura e dopo quasi dieci anni trascorsi a corte, sarebbe risultato inadeguato al rango e alla fama acquisiti.


 Da questo momento in poi sarà al seguito delle due infante, Isabella Clara Eugenia e Caterina Micaela, continuando sempre a dipingere.

 L’intrinseca complicità scaturita dall’incontro spagnolo di Sofonisba con la regina-bambina Isabella riuscì felicemente a lenire il comune quanto doloroso distacco che entrambe le giovani donne avvertirono verso le rispettive radici domestiche, ma la pur sensibile differenza d’età innescò una relazione di sapore “materno” così intensa da trasferirsi al successivo ramo dinastico di generazione femminile, coinvolgendo le infanti Caterina Micaela e Isabella Clara Eugenia anche dopo la prematura e inaspettata scomparsa della madre.



ritratto dell'Infanta Caterina Micaela
ritratto dell'Infanta Caterina Micaela
Quando più tardi convoleranno entrambe a nozze e abbandoneranno i luoghi natali per installarsi nelle residenze straniere degli illustri consorti, non esiteranno a imporre una deviazione al loro itinerario di viaggio per sostare in Liguria e incontrare l’antica governante installata a Genova (città anch’essa in stretti rapporti con la corona iberica), che in quei frangenti alimenterà la memoria di quei comuni trascorsi con un omaggio ritrattistico.

Nel 1573 Sofonisba sposerà per procura Fabrizio Moncada, cadetto di una nobile casata siciliana. Il matrimonio però non avrà fortuna, perché il marito affoga cinque anni dopo nel viaggio in mare verso la Spagna, quando la sua nave viene attaccata dai pirati.

 Il secondo matrimonio a Pisa con il genovese Orazio Lomellini è del 1579, contro il volere della corte spagnola e del fratello che l’ha accompagnata nelle peregrinazioni italiane successive alla vedovanza.
Il nuovo marito, capitano di nave, appartiene ad una nobile casata, ma è solo un figlio naturale, e in più dedito completamente all’attività marinara e mercantile.


La pittrice, ormai alle soglie della vecchiaia, si trasferisce a Genova, dove continua a lavorare, intrattenendo rapporti con gli artisti locali. Nel frattempo, il marito si arricchisce e i due si trasferiscono definitivamente a Palermo intorno al 1615, comprano casa nell’antichissimo quartiere arabo di Seralcadi e forse qui cessa di dipingere a causa del progressivo indebolimento della vista, anche se probabilmente fu consultata ancora quando si commissionarono a Genova i dipinti per la chiesa di San Giorgio retta dalla Nazione dei genovesi.



Il 16 novembre 1625 Sofonisba muore, dopo una vita ricca di incontri con personaggi illustri e di soddisfazioni artistiche.
Sepolta nella chiesa di San Giorgio, dove sette anni dopo Orazio 
Lomellini, farà apporre in suo ricordo una commossa lapide commemorativa.

Non ebbe figli, ma dovette stabilire contatti cordiali con i lontani nipoti di Cremona (ricordano le fonti che una figlia di Europa Anguissola, Bianca, mantenne rapporti epistolari con la zia) e con Giulio, un figlio naturale di Orazio Lomellini, che in suo onore battezzò Sofonisba una delle sue figliole.

Considerati i tempi, una vita fuori del comune per un’artista che ha dato molto al suo tempo e che conserva ancora oggi un fascino tutto particolare.


Nel 1624, a poche settimane dallo scoppio di una tremenda epidemia di peste che sconvolse Palermo, Sofonisba ricevette la visita del giovane Anton Van Dyck, chiamato in città per dipingere il ritratto del viceré Emanuele Filiberto di Savoia, affascinandolo con la propria lucidità e vivacità di conversazione, tanto da indurlo a redigere una memorabile pagina di appunti pro-memoria nel proprio album italiano.






Sofonisba Anguissola e le sorelle
Sofonisba Anguissola e le sorelle
La peculiarità della sua vicenda biografica risiede in quelle trame affettive ordite tra le protagoniste femminili della sua famiglia, strutturata con ben sei sorelle unitamente versatili nell’esplorare i fertili territori della pittura, mentre il solo fratello Asdrubale ignorò tali interessi umanistici.

Sofonisba incarnò quel modello femminile in grado di sommare l’antico sapere devoluto nella gestione del focolare domestico alla padronanza di nuove e gratificanti strategie d’intrattenimento sociale.


Anche la lungimiranza del padre Amilcare concorse a promuovere l’espandersi dei talenti filiali, avviando nel 1546 le discendenti maggiori – Sofonisba ed Elena (1536-1586) – ad apprendere le tecniche del dipingere presso il conosciuto pittore locale Bernardino Campi (dal 1546 al 1549), e più tardi rivelando opportuna abilità diplomatica nel magnificare le capacità ritrattistiche della più fortunata primogenita per diffonderle, in un circuito intellettuale di vasto raggio.



Se i riscontri positivi premieranno con solerte disponibilità le fiduciose attese di Amilcare, alimentandole con richieste di commissioni o tangibili elogi espressi da eminenti personaggi del mondo intellettuale come Annibal Caro, Francesco Salviati e Rubens; anche il misogino Giorgio Vasari, durante la stesura delle Vite, si recherà nel 1566 in casa Anguissola per verificare la forza dell’indole inventiva irradiata dalla “virtuosa nobildonna”, frattanto insediata presso la corte spagnola.

La somma autorità di Michelangelo nel 1554 intesse apprezzabili lodi d’incoraggiamento all’indirizzo della giovane cremonese.

 L’immediatezza della mimesi naturalistica si ritrova in Sofonisba col  "Ritratto di Lucia Anguissola", disegno che sorprende la sorella con lo sguardo sollevato dal libro ancora aperto alla lettura per volgere direttamente verso l’esterno gli occhi sgranati (connotato che diventerà “cifra” per rappresentare e riconoscere i visi femminili della famiglia).

La penetrante investigazione leonardesca, la ricerca sugli umori irradiati dagli stati d’animo s’intensificano ulteriormente nel quinquennio 1555-’60, nel sorriso sornione indice di scaltrita conoscenza delle cose mondane fino alla lenticolare meticolosità dell’indagine fiamminga estesa anche ai molteplici inserti narrativi di natura morta disseminati nelle scene pittoriche.

 Ricordi sentimentali si enucleano d’altronde nel "Ritratto di dama" dipinto nel 1556 e adesso custodito presso la Galleria Borghese di Roma, captando con lucida osservazione analitica la sussurrata effusione che emana dall’espressione femminile, forse corrispondente al personaggio materno.

Scarsa rimane la documentazione per ricostruire cronologicamente la produzione della pittrice cremonese in terra spagnola, oltretutto parzialmente perduta in un incendio divampato nell’Alcazar della capitale.

 Nel "Ritratto d’Isabella di Valois" con miniatura, terminato intorno al 1565, conservato al Prado e appartenente ad una nutrita serie di rappresentazioni dedicate alla giovanissima regina durante la sua breve parabola matrimoniale, Sofonisba trasporta l’emozione della visione affettiva, comunicata nella delicata espressione di dolcezza impressa sul volto della regale fanciulla, attraverso moduli parmensi (Correggio) e raffinate eleganze toscane (Bronzino).
Alla metafisica fissità del ritratto aristocratico, Sofonisba unisce il contributo di approfondire la vitalità psicologica del soggetto indagato.

Superando gli schemi stabiliti nella ritrattistica cinquecentesca, poi codificati nel modello di traduzione veneta impostato proprio in Spagna da Tiziano con l’archetipo iconografico di Carlo V, l’artista padana rompe la staticità della postura aristocratica.

Anche le figure maschili beneficiano dello sguardo sensibile effuso da Sofonisba, aperto a una serena compostezza espressiva e ad un tono quasi “familiare”,  sebbene chiusa all’interno del severo abbigliamento in nero imposto dall’ormai insorgente clima controriformista, che domina il Ritratto di Filippo II al Prado.

A qualche anno prima dovrebbe risalire il Ritratto di Alessandro Farnese a Dublino, modello di felice esito iconografico adottato in seguito da Taddeo Zuccari per proporre l’adolescente effigie del personaggio principesco, educato presso la corte reale, negli affreschi del palazzo Farnese a Caprarola.

 All’ultimo periodo del soggiorno a Madrid appartengono "Ritratto di Isabella Clara Eugenia e Ritratto di Caterina Micaela, difatti databili intorno al 1573, simili nell’inquadratura a tre quarti ed entrambi offuscati da una nota dolente sulle delicate movenze del volto col solenne rigore dell’abito scuro, corredo sostanzialmente inusitato nella sensibile rappresentazione dell’infanzia legittimata dall’artista, ma in cui s’inscrive la memoria luttuosa relativa al contemporaneo evento di traslazione all’Escorial delle spoglie materne. 
A Genova Sofonisba rimarrà fino al 1615




Bibliografia

Un mondo di donne, Pratiche Editrici, 2003, MilanoCuratore
S. Zucchi, Pittura in Lombardia dall’età spagnola al Neoclassicismo, Electa,1999,Milano
E. Larsen, Van Dyck, Classici dell’Arte, Rizzoli, 1980, Milano
Curatore R. Belton, L’arte, Logos, 2004, Modena
S. Laurenti “Le grandi donne pittrici  tra Cinquecento e Seicento”