“Mi importa di più essere amata/ per la
donna che sono/ che non per il fatto che scriva.”
(Alda
Merini)
Non di rado le persone che parlano sia il
dialetto che l’italiano si avvalgono spesso del dialetto, soprattutto quando si tratta di
qualcosa che ha a che vedere con le emozioni.
Un’esclamazione di stupore,
rabbia o dolore è più verosimile che sia espressa in dialetto come slancio
della propria efficacia.
L’uso del dialetto rappresenta forse la piena applicazione
del concetto di Lingua Madre.
La lingua di Alda Merini era lei stessa
ogni sua calibrata e ponderata parola poetica perché la Poesia era per lei
inevitabile come respirare.
Per Alda Merini la poesia era la sua lingua madre. Lingua
“efficace” e sincera in grado di esprimere ciò che si ha da dire e che si prova e ciò che è al tempo
stesso Razionale ed Emozionale.
Alda Merini era in comunione con la poesia
come se la poesia fosse stata la sua carne e la sua carne poesia.
In un articolo apparso sulla rivista Poesia
Aldo Nove ha scritto che “Alda Merini non aveva
nulla da nascondere perché il confine tra la sua carne e la poesia era stato
smangiato da decenni, da quella furia che sottrae i cercatori di verità dalle
convenzioni (…)
La Merini aveva scelto di smettere la
propria funzione di intellettuale “privata” nel momento in cui si era scoperta
poetessa che scrive poesie dal suo intimo e doloroso profondo.
Ogni suo gesto, ogni suo modo di fare finanche ogni parola
ricondotta alla sua biografia appaiono in forme dolorosamente poetiche; cosa che
la rendeva scomoda e al tempo stesso amatissima.
“Grazie poesia/ che mi hai vendicato.
Che se mi hai portato con te nel ventre/
è meglio non parlarne con nessuno.”
Generata e partorita dalla poesia Alda Merini
si sentiva una persona misteriosa e sconosciuta a sè.
Incomprensibilmente
straniera della sua esperienza di poeta.
Non è certo un caso che nella sua
produzione poetica si interroghi sul dilemma di chi sia un poeta, probabilmente
nel tentativo di definire non tanto una figura astratta, quanto piuttosto se
stessa.
“Vorrei smettere di scrivere
non dire più una parola
ma la poesia è come un grillo
che canta nella mia testa
e come un grillo astuto
ti graffia le pareti
vorrei smettere di dormire
correre sugli altipiani
ma appena scappo il mio grillo
torna ad inseguirmi il cuore.”
Scriverà ancora sullo stesso tema:
“I poeti non hanno mai avuto una missione
gliel’hanno sempre affibbiata gli altri”.
Come a voler affermare che le missioni si
scelgono, la Poesia invece no. E’ un destino inesorabile che marchia a pelle
colui che ne è colpito.
La Poesia è inevitabile Alda Merini la incarna e la
interpreta con sguardo talvolta Ingenuo, talvolta Disarmato e Trasparente sulla
Realtà.
Quando trasforma i suoi temi in
poesia parla di Dio, parla d’amore, parla di dolore e della
sofferenza, con sguardo tenero e disarmato, stabilisce la differenza tra umano
e divino.
“Gesù è stato l’unico bambino che non
ha mai avuto giocattoli”
Con un balzo visionario stabilisce la diversità tra tutti gli
altri e il più povero e derelitto quello che di giocattoli veri non ne vedrà
mai nella sua vita, ma che saprà trovare qualcosa magari un sassolino, un pugno di
fango o un rinsecchito stelo d’erba con il quale giocare.
La Merini porta il divino a una vicinanza abbagliante.
“Forse, come fece S. Pietro, io ti rinnego
per paura del pianto.
Però io ti percorro ad ogni ora e sono lì, in ogni angolo di
strada e aspetto che tu passi.
E ho un fazzoletto, amore, che nessuno ha mai toccato, per
tergerti la faccia.”
Le distanze sono abbattute, l’intensità e
lo struggimento del sentimento d’amore verso Dio, si avvertono come passione
che palpita la carne.
“In verità Gesù, non so chi mi abbia
partecipato al tuo destino, ma io ti amo e di te so tutto, come qualsiasi donna
che ama il proprio marito.”
Rovesciata
la prospettiva è vicino e intimo l’amore per Dio non è invocato invano questo amore, è
una incontrovertibile certezza fatta di presenza e vicinanza umana.
“mentre gli
altri ti pensano comodo assiso ad una mensa, non capiscono che tra poco non ci
sarai più, perché sta scritto che volerai verso il Padre tuo.”
Spontaneità della vicinanza e dell'intima
conoscenza.
Il Divino è reale, così vero, così
toccabile che si sfiora a pelle in una vicinanza inquietante.
Nel Magnificat, libro di enorme successo
sulla figura di Maria, recita
“Io sono la donna di Dio.
Colui che ha baciato le carni della mia stoltezza col fuoco
del Suo amore e le ha rese incandescenti. Io sono l’amante di Dio colei che lo
ama e che in Lui trasmigra come una foglia.”
Maria come Alda in un’unico corpo. Una vicinanza e
credibilità sorprendenti.
Merini “la poetessa bambina” per quel suo modo di
affrontare il mondo senza calcolo, senza infingimenti, con tutta se stessa o
con la Poesia che per lei erano la stessa cosa.
E lei poetessa nasce, come dimostra l’intera sua vita.
Poetessa con la coscienza della sua
“diversità” e delle difficoltà a condurre una vita “normale”. Ci teneva a dire
di essere diventata famosa non perché era stata in manicomio ma perché era
riuscita ad uscirne.
“Padre, se scrivere è una colpa
perché Dio mi ha dato la parola”
e
ancora
“Io sono una donna che dispera
che non ha pace in nessun luogo mai
che la gente disprezza, che i passanti
guardano con sospetto e con rancore,
sono un’anima appesa ad una croce
calpestata derisa sputacchiata.”
Ma la donna che se ne ricava Non è una
donna rassegnata o passiva: niente di tutto questo sarebbe più lontano da lei,
sia nella scrittura che probabilmente anche nella vita reale. Donna
profondamente passionale, per lei l’amore era una ricerca ineliminabile,
un bisogno indistruttibile e centrale della sua vita.
L’amore è considerato come una specie di motore che muove
tutto.
Nella prefazione di una raccolta che
contiene alcune sue poesie d’amore, Roberto Vecchioni ha definito Alda Merini,
una “macchina d’amore” per la potenza monotematica e capillare di descrivere
infinite situazioni che riguardano l’amore.
“Ai tempi dell’inutile prigione
io amai un mio compagno,
un poveraccio senza santità.
E così da questo amore infelice
sei nata tu fiore del mio pensiero.
Nessuno in manicomio ha mai dato un bacio
se non al muro che lo opprimeva
e questo vuol dire che la santità è di tutti, come di tutti è
l’amore.”
Ad Alda Merini non importava nulla delle convenzioni,
delle buone maniere e delle gerarchie.
La Poesia la seguiva come un cane fedele
ovunque andasse.
Nella camera da letto a fare l’amore oppure sul divano di casa
sua a pensare o a scrivere
“Non voglio dimenticarti/
amore, né accendere altre poesie...
La strega segreta che ci ha guardato ha
carpito la nudità del terrore,
quella che prende tutti gli amanti raccolti dentro un’ascia
di ricordi.”
“Ogni poeta laverà nella notte/
il suo pensiero ne farà tante lettere/ imprecise/ che spedirà
all’amato senza un nome.”
“A chi mi chiede/ quanti amori ho avuto/
io rispondo di guardare nei boschi/ per vedere/ in quante tagliole è rimasto il
mio pelo.”
E ancora, questo aforisma: “Ho avuto 36
amanti. Più iva”. Come a dire, tradotto da un linguaggio visionario: ho
dovuto pagare una tassa, un costo secco che non scaricherò su nessuno se non su
me stessa per avere avuto quello che desideravo.
Siccome ogni cosa bella ha un prezzo da pagare specie se si
tratta di amore, il prezzo può essere molto alto, ma Alda Merini era
grandissima e lo ha detto in sei parole.
Ha scritto che la morte dei Poeti non ha
mai fatto rumore.
Tra le tante cose “profetiche” e di
incredibile, vertiginosa profondità sul mondo che la circondava questa è
sicuramente sbagliata.
La morte di Alda Merini, rumore ne ha
fatto parecchio, non solo perché le è stato tributato l’onore di un funerale di
Stato ma anche perché dopo la sua morte e forse sarebbe giusto dire anche “con
la sua morte”il suo nome, la sua storia, le sue parole sono diventate note o
quantomeno conosciute anche a quei tanti che non si occupano né si interessano
di poesia.
La poetessa bambina senza riparo e forse senza
barriere, senza calcoli e opportunismi, è in ogni modo consegnata all’eternità
della Poesia nella sua interezza, nella sua storia di donna e di poetessa. Continuare
a leggerla la riporterà ogni volta in vita.
Cleofe Barziza