mercoledì 17 aprile 2013

BENI COMUNI : Voglia di PRESENTE e FUTURO



In scena nello storico teatro romano, occupato e restituito a 

lavoratori e fruitori della cultura da quasi due anni,

                 “La Costituente dei Beni Comuni”.

 È il primo passo di un'inedita alleanza tra studiosi e

 movimenti, con l'obiettivo di proporre ed affermare un nuovo

 diritto ed una rinnovata idea di cittadinanza.

                Una cronaca ragionata dell'iniziativa.





Nonostante si tratti del primo sabato di sole primaverile, il 13 aprile il Teatro Valle è stracolmo: l'assemblea “numero zero” de La Costituente dei Beni Comuni ha richiamato studiosi e movimenti da tutta Italia e si respira un'energia realmente costruttiva.
Si comincia con un video: facendo il verso a Guerre Stellari, sullo schermo scorrono le parole di Rousseau, “se dimenticherete che i frutti sono di tutti e che la terra non è di nessuno, sarete perduti!”.

A Stefano Rodotà, già presidente della commissione ministeriale per la riforma del diritto dei beni pubblici, padre sobrio ed autorevolissimo di quest'iniziativa, l'onere di introdurre la discussione: la prolusione di Rodotà – al centro del discorso pubblico perché indicato trai principali “quirinabili” – è una orgogliosa quanto discreta professione di metodo. Per costruire un solido percorso di studio, azione sociale e proposta, è in primo luogo fondamentale eliminare ogni personalizzazione: un simile richiamo smentisce subito chi aveva intravisto nell'iniziativa il lancio della corsa del giurista al Colle; allo stesso tempo, sottolinea la continuità tra l'attività scientifica della “commissione Rodotà” e l'esperienza politica del Referendum su acqua e servizi pubblici locali.

I beni comuni – ormai è chiaro a tantissimi – rimettono in causa le categorie centrali dell'esperienza giuridica, mettono in relazione il mondo dei beni, la dignità ed i diritti fondamentali delle persone e delle comunità, le idee di partecipazione, democrazia, istituzioni.

Se si accettano fino in fondo le implicazioni di una simile affermazione, si capisce come al Teatro Valle sia cominciato un cammino collettivo prezioso e innovativo: nelle parole di Rodotà, cultura diffusa e culture specialistiche dovranno intessere un dialogo continuo, in grado di considerare la complessità dei dati sociali come una risorsa e, soprattutto, in possesso di un metodo costruttivo capace di valorizzare e legittimare le differenze di proposta ed estrazione politica.

A voler parafrasare una famosa espressione, al Valle studiosi e movimenti dimostrano piena consapevolezza di come la democrazia non sia un pranzo di gala. D'altra parte, la religione neoliberista e i dogmi dell'austerità hanno eroso la residua legittimazione di ceti politici autoreferenziali, prodotto una catastrofe di esclusione sociale, aperto una ferita apparentemente insanabile tra legalità formale e legittimità sostanziale delle situazioni sociali e giuridiche.

E allora non resta che navigare in mare aperto, con rigore, umiltà ed incoscienza. Rodotà denuncia l'approssimazione del circuito mainstream italiano – che ancora ritiene il dibattito sui beni comuni “una fantasticheria di studiosi e/o un estremismo dei movimenti sociali” – e suggerisce le coordinate per il viaggio appena cominciato. Nella stessa direzione vanno gli interventi successivi, durante i quali si alternano esponenti dei movimenti e studiosi del calibro di Ugo Mattei, Maria Rosaria Marella, Paolo Maddalena.

Un primo punto di riferimento concreto (altro che fantasticherie!), offerto alle centinaia di partecipanti all'assemblea, sono le sei proposte di legge, inviate di recente a tutti i parlamentari neoeletti. Per il rapporto tra democrazia partecipativa e istituzioni rappresentative, due proposte di legge di portata costituzionale: la modifica dell'art. 21 della Carta, inserendo l'accesso a internet come diritto fondamentale; la riforma dei Regolamenti parlamentari, con l'obbligo per le Camere di discutere in tempi certi le leggi di iniziativa popolare ed il diritto dei promotori di contribuire ai lavori delle commissioni. Per i beni comuni, l'approvazione del disegno di legge partorito nel 2008 dalla commissione Rodotà, da un lato, e della legge di iniziativa popolare su acqua e servizio idrico integrato (portata nel 2007 in Parlamento forte di 400.000 sottoscrizioni, e mai discussa) dall'altro. E ancora: la proposta di legge del B.I.N. (Basic Income Network) Italia sul reddito universale di base; un testo normativo sul fine vita che finalmente porti chiarezza e laicità in una materia così complessa e riguardante l'autodeterminazione delle persone.

Il proposito espresso di simili proposte è di mettere in campo un “lavoro in presa diretta sulle istituzioni”. I movimenti e gli studiosi riuniti al Valle hanno infatti coscienza di quanto il diritto sia vivo ed in grado di mutare attraverso i conflitti, le pieghe profonde della società; perciò rivendicano un ruolo di impulso, pressione e vigilanza. È chiaro l'orizzonte politico sotteso a tale approccio: a fronte della gravità della crisi italiana ed europea (che è economica, ambientale, politica e culturale), non si deve commettere l'errore di considerare le istituzioni definitivamente inaffidabili o inservibili. Al contrario, è necessario giocare fino in fondo la partita delle istituzioni, mettendo l'elaborazione teorica e le pratiche sociali al servizio della creazione di una democrazia sostanziale, fatta di luoghi inclusivi per la cura dei beni comuni, in grado di restituire un senso alle parole “uguaglianza” e “cittadinanza”.

Per perseguire obiettivi così ambiziosi, la Costituente dei Beni Comuni dovrà innanzi tutto rileggere e riscoprire quel capolavoro che è la Costituzione, valorizzandone la lungimiranza e accompagnandola nel futuro. È nella Carta – la celebre Rivoluzione Promessa di Calamandrei – che, qui ed ora, si parla di una proprietà privata legittima solo se accessibile a tutti e rispettosa della sua funzione sociale (art. 42); si prevede la possibilità di affidare a “comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali” (art. 43); si leggono disposizioni pionieristiche in tema di uguaglianza (art. 3), ambiente e paesaggio (art. 9) conoscenza (artt. 33 e 34).

Un patrimonio tanto ricco non può che essere riconosciuto e messo a frutto dall'assemblea del Valle. A partire dalla Costituzione, ad esempio, sono possibili avanzamenti nel lavoro sui beni comuni: una categoria così dirompente deve essere difesa dalla banalizzazione e da ogni uso inflazionato; e se è vero che “l'unica difesa è l'attacco”, risulta allora necessaria una ulteriore chiarificazione del concetto di beni comuni, in vista di un nuovo diritto imperniato sui concetti di accesso, cura e responsabilità.

È quasi divertente, a tal proposito, notare la distanza tra la “responsabilità” professata dal ceto politico italiano negli ultimi diciotto mesi (che responsabilmente ha devastato welfare, lavoro e diritti), e l'idea di responsabilità invocata al Teatro Valle. È finalmente chiaro che l'unica azione politica responsabile è quella che persegue la giustizia sociale ed ambientale, che ha l'ambizione di garantire in concreto l'accesso a beni e servizi direttamente funzionali all'esercizio dei diritti fondamentali ed alla qualità dei processi democratici.

E così, esempi e spunti concreti si rincorrono nel pomeriggio del Valle. È responsabile la Corte Suprema indiana, che ha negato a Novartis la tutela della “proprietà intellettuale” in nome del diritto alla salute. È responsabile immaginare – come nelle Costituzioni dell'America Latina – un “ecologismo costituzionale”, con veri e propri “diritti della natura” che permettano al diritto di andare oltre un antropocentrismo ingordo ed insostenibile. È responsabile concepire la città come bene comune in sé e per sé, come spazio che deve tornare ad essere vissuto e fruito come prodotto collettivo. V'è tanta responsabilità nel riproporre con forza le questioni del diritto alla casa e del diritto all'abitare: e ciò significa affrontare seriamente la speculazione immobiliare e la rendita fondiaria, individuando – come fa Maria Rosaria Marella – nelle pratiche di occupazione gli “avamposti di una nuova cittadinanza”. Ed è certo responsabile rivendicare, finalmente anche in Italia, un reddito minimo garantito coerente con l'art. 34 3° comma della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea (e con gli articoli 2 e 36 della nostra Costituzione), caratterizzato da universalità e sufficiente per un'esistenza dignitosa.

Gli interventi si succedono fino a tardi, la carne al fuoco è moltissima. Al Valle si sono poste le basi per un percorso sociale e politico che potrebbe davvero avere una natura “ricostituente”, e che potrebbe unificare teoria e pratiche di lotta in processi crescenti di presa di coscienza e partecipazione. Si esce dal teatro avendo chiaro – come sostiene Ugo Mattei – che quando il “privato” diventa solo e soltanto “privante” è urgente rifondare le basi del diritto e della convivenza civile, superando il dogma del diritto di esclusione e ponendo al centro la categoria dell'accesso.

A sera, la Costituente dei Beni Comuni si mette ufficialmente in viaggio: già in preparazione nuove tappe; e non sarà un caso se, per esempio, un futuro incontro sarà ospitato a Pisa presso uno stabile industriale abbandonato da anni al degrado e occupato nell'ottobre 2012 dal Municipio dei Beni Comuni.



                                       Rocco Albanese