giovedì 23 maggio 2013

Ciao Don Gallo, Non sarà uno scherzo da prete non averti in questo inferno...


                                                       




Nasce a Genova il 18 luglio del 1928, giovanissimo Andrea Gallo prende parte alla Resistenza accanto al fratello maggiore Dino.

 Nel ’48 entra nel noviziato dei padri salesiani di Don Bosco a Varazze.

 Nel ’53 chiede e ottiene di andare in missione e viene inviato in Brasile a San Paolo.

 Torna in nave a Barcellona e assaggia la dittatura franchista (simboleggiata dagli spagnoli, racconterà poi, con un tavolino a tre gambe: la falange, l’esercito e la Chiesa).

 Viene ordinato prete il primo luglio del 1959 e nel ’60 è cappellano della scuola navale militare Garaventa.

 Nel ’64 decide di passare alla diocesi genovese e lascia la congregazione salesiana. 

L’allora arcivescovo di Genova, cardinal Giuseppe Siri, lo invia nell’isola della Capraia e già nel ‘65 nella parrocchia del Carmine come vice-parroco.

 La sua partecipazione politica nel quartiere (soprattutto nel ’68) non viene vista di buon occhio.

 Il giovane sacerdote si presentava sull’altare col giornale in una mano e il vangelo nell’altra e commentava la cronaca.

 ‘’Dimmi un po’ mi dicono che vai spesso in processione… - avrebbe detto Siri a Don Gallo riferendosi ai cortei – Conosco il martirologio, le litanie dei santi, ma non ho mai sentito quel santo che continui a invocare con i tuoi parrocchiani, Ho Chi Minh..’’.


Cacciato dalla sua parrocchia nel 1970 e riassegnato alla Capraia dove si rifiuta di andare, Don Gallo ripara nella chiesa di San Benedetto al porto accolto dall’allora e attuale parroco don Federico Rebora e nasce la comunità di base di San Benedetto.

 Nell’autunno del 1974 assiste il primo tossicodipendente e nel ’75 la comunità sceglie di dedicarsi espressamente al recupero dei tossicodipendenti.

 La comunità l’8 dicembre 2010 ha compiuto 40 anni di vita e oggi conta sei cascine agricole in Liguria e Piemonte, il ristorante genovese ‘A Lanterna’, un albergo a cinque stelle e una comunità agricola a Santo Domingo, costruite pietra su pietra col supporto degli enti locali e di tanti donatori privati fra cui i genitori dei ragazzi tossicodipendenti.


Nei decenni Don Gallo ha partecipato a spettacoli teatrali e scritto alcuni libri come ‘L’inganno della droga’ (1998) e ‘Il cantico dei drogati’ (2005) sul fallimento del proibizionismo e due volumi autobiografici, ‘’Angelicamente anarchico’’ (2005) e ‘’Come in cielo così in terra’’ (2010) con battute esilaranti come ‘anch’io come Vasco ho avuto una vita spericolata’’ oppure ‘’non avrei mai potuto diventare papa perché sarei stato Papa Gallo’’.

 Entrambi terminano con un pensiero sulla morte.

 Nel primo scriveva: ‘’a ottant’anni spero di essere ancora giovane e poter dire all’angelo che mi verrà a chiamare: ‘’senti un po’, ritorna fra dieci anni’’’.

 Nel secondo ‘’avete paura della morte? Io sì, tanta. Ma è misteriosamente la nostra strada.
 Certo, se mi venisse concessa una proroga sarei contento.

 Gli ultimi minuti della mia vita vorrei cantare un inno alla gioia per tutto quello che è stato concesso di conoscere’’.


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La morte la voleva vedere negli occhi.
 Perciò da settimane dormiva pochissimo. 

Qualche minuto e poi l’adrenalina (o il 
dolore) lo tenevano sveglio.

 ”Tenete le lanterne accese, non sapete a che ora viene il ladro”.

 Stava così tra veglia e sonno, soprattutto veglia.

 Non voleva più stare nella sua stanza e neppure nel salone dove per anni di notte fumava sigari e pensieri e tv.

 I suoi ragazzi ora riuscivano a farlo dormire qualche minuto soltanto portandolo in giro di notte, in macchina.

 Quanto la città dormiva e tutto era silente, alle tre o alle quattro di mattina. 
Via, un giro per Genova, il suo porto. Le strade di levante e ponente. 

Don Gallo le conosceva tutte a menadito e si rassenerava per un po’.

Conosceva i palazzi, la superbia di una certa Genova, ”che brillanti!”, diceva stupito come un bambino raccontando di essere stato invitato una volta in qualche magione dove aveva cercato di convincere tutti a regalare ai poveri e rinunciare al molto.

 Conosceva la Genova di Sottoripa, il Ghetto, i travestiti, le puttane, i giornalisti, gli scrittori, i malandati, i primi e gli ultimi.

 Non c’era recesso dove non fosse noto o avesse un amico: ”se ho fame ho sempre qualcuno che mi apre la porta – diceva spesso – sono più fortunato di altri”.

 Da Manu Chao a Jovannotti, da Vasco ad Alba Parietti, dalle Madri di plaza de Majo a Dario Fo, Franca Rame e intellettuali e artisti, annoverava amici nei campi più disparati.

 Se ne vantava un po’ gigione: ”come dice il mio amico Pinco Pallo…”.

 Era curioso e sapeva amare.

E se non era lui a uscire, era Genova a finire alla sua porta.

 Accanto alla chiesa di San Benedetto al porto c’è un portone verde malandato.
 Bastava suonare il campanello, giorno e notte, per trovare il Gallo (preferibilmente di notte) o Lilli (preferibilmente di giorno) suo braccio destro e agenda o i ragazzi un po’ a tutte le ore. 
Alla mattina è una processione di richieste accresciuta dal disagio, la povertà, la precarizzazione: chi chiede del latte, chi cerca un passeggino, chi vuole buttarsi dalla finestra. Hanno sempre ascoltato tutti.
 Il Gallo scendeva verso l’una o le due di pomeriggio, si ritirava nel suo ufficio a piano terra, in sacrestia, dietro una mitica porta verdolina con una tenda bianca dal di dentro.
 Il parroco ufficiale della chiesa di San Bendetto al porto, don Federico, compagno silenzioso, ha invece uno ”scagno”, un ufficetto nel corridoio, dietro una paratia di legno.
 Il Gallo aveva la stanza più grande, finestra sul porto, rumori di sopraelevata.

 E lì riceveva i ragazzi che volevano entrare nella sua comunità, intraprendere un cammino per lasciare la droga o almeno tentare. Ha ricevuto migliaia di genitori preoccupati, addolorati, i suoi amici e i ragazzi che man mano di ammalavano di Aids, raccolto dolore trasformandolo in amore. 
   ”Osare la speranza” era il suo motto.
La domenica si ricordava di essere prete.
 I fedeli delle sue messe sempre pochi.
 Un gruppo di anziani che lo ha sempre seguito dalla chiesa del Carmine a qui, un po’ dei ragazzi della comunità a cui lui non ha mai chiesto di andare a messa, figuriamoci. E poi la gente dei vicoli, passanti, viaggiatori, gente di tutti i colori e di tutti i paesi.

 ”Vieni qui, spiega a tutti da dove vieni”, diceva il Gallo con la sua voce tuonante e tra un vangelo e l’altro, la sua messa diventava un viaggio in Congo o in Guatemala o chissà dov’altro.
 Le ultime due le ha dette seduto alla comunione e lasciando che ognuno prendesse ostie e vino: ”è l’ecclesia che dice la messa, mica Don Gallo”.

 Dai suoi incontri si cavava sempre qualche messaggio.
 Una riflessione. Non era mai tempo perso.

Per i non credenti era le sue battaglie: l’aborto e la contraccezione, una maternità responsabile e la Costituzione in mano.

 Prendeva parte, era partigiano e sempre a sinistra.

 Tirava le orecchie ai politici tiepidi, al Pd massimamente negli ultimi anni.
 Sposava le battaglie di chi gli pareva potesse portare un po’ di giustizia e trasparenza.

 E così dal G8 (“sono un new global, nella tasca dell’anima ho scoperto di possedere la tessera del movimento dei movimenti”) al Gay Pride è sempre stato in piazza. ”In una mano il Vangelo, nell’altra la Costituzione”.


            
                                                                                     







Fonte:Manifestiamo.eu