lunedì 14 maggio 2012

Spunti per una Riflessione Filosofica - Intervista al Filosofo Francesco Berto.



                                                                         



Giulia Ribaudo, studentessa di Filosofia a Venezia, ha concepito e ideato questa sua intervista a Francesco Berto, giovane docente Universitario che ha pubblicato vari libri di successo sulla Filosofia e la Logica 
L’intervista è pubblicata nella Rivista che si intitola “Rivista Inutile” consultabile in www.rivistainutile.it 
 Lettura interessante che prendiamo a spunto di riflessione sugli ampi dibattiti filosofici, che pubblichiamo con compiaciuta gratitudine del contributo

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Intervista a Francesco Berto


     
Perché intervistare Francesco Berto? Per darci una botta di speranza. Un filosofo giovane che spiega robe molto complicate senza farti sentire una scimmia.Un’eccellenza italiana costretta a prendere tanti aerei. 

Per rompere il ghiaccio, quello che ti chiedo è una breve ma intensa autobiografia. Può essere agiografica, ufficiale, come vuoi, lo scopo è sapere qualcosa di te.
Ok, immagino che vi interessi la mia vita filosofica più di quella privata. Mi sono laureato a Venezia con Vero Tarca, con una tesi su Emanuele Severino, che al tempo insegnava ancora a Venezia. Vorrei dire che Severino è il più grande filosofo italiano del nostro tempo; di sicuro, fra quelli il cui lavoro conosco, è il mio preferito. La tesi è poi diventata un libro, intitolato La dialettica della struttura originaria, che a qualche fan di Severino è piaciuto.


Ho scoperto la filosofia analitica un po’ tardi, grazie ai corsi di logica e filosofia del linguaggio di Tarca e Luigi Perissinotto, e quando sono stato ammesso al programma di dottorato a Venezia ho cominciato a lavorare a un ambizioso progetto: interpretare la dialettica hegeliana alla luce della filosofia analitica. Ho finito nel 2004, e anche la tesi di dottorato è diventata un libro: un grosso volume di 450 pagine chiamato Che cos’è la dialettica hegeliana? (il punto di domanda è stato aggiunto su suggerimento di un amico hegeliano – ma io volevo proprio rispondere alla domanda). È la cosa da me scritta che più mi piace, ma il suo impatto è stato un po’  deludente: in Italia i filosofi analitici perlopiù continuano a disprezzare Hegel; gli hegeliani tradizionali perlopiù continuano a disprezzare le interpretazioni analitiche.

Dal 2004 al 2006 ho lavorato a Padova, un po’ con gli analitici locali come Max Carrara, un po’ con gli hegeliani della scuola padovana, Franco Chiereghin e Luca Illetterati, e ho insegnato piuttosto regolarmente logica di base a Venezia. 
Una delle cose che sostenevo nel mio lavoro sulla dialettica hegeliana è che Hegel, contrariamente alla vulgata, non ha mai negato la legge di non-contraddizione. Il che mi ha portato ad approfondire il tema di come uno possa negare la legge di non-contraddizione e farla franca. 


Ho scritto un libro per Carocci, ‘Teorie dell’assurdo’, su certe logiche devianti che promettono una cosa del genere, dette logiche ‘paraconsistenti’. Questo ha avuto una certa fortuna (di sicuro ha aiutato il titolo), ha vinto un premio ed è uscito in edizione ampliata in inglese, per il King’s College di Londra.


Nel 2006 mi sono trovato semi-disoccupato e bisognoso di soldi. Allora ho scritto due libri di logica per Laterza, per guadagnare un po’ con i diritti d’ autore: un manuale chiamato Logica da zero a Gödel e un’introduzione ai teoremi di incompletezza, Tutti pazzi per Gödel. Anche in questo caso i titoli hanno aiutato, e le vendite sono arrivate.
Non trovando nessuna posizione in Italia, nel 2007 sono emigrato a Parigi, a lavorare al CNRS e alla Sorbona.


 Mi sono occupato soprattutto di ontologia, l’ho insegnata per due anni all’École Normale, e ne è uscito un altro libro per Laterza, L’esistenza non è logica. Vi difendevo una concezione non-standard della nozione di esistenza, opposta a quella condivisa da una grande tradizione filosofica, che va da Hume e Kant a Frege, Russell e Quine.
Nel 2009 mi hanno offerto una lectureship in Scozia, all’Università di Aberdeen, e ho accettato perché sapevo che Crispin Wright vi stava aprendo il suo nuovo istituto di ricerca, il Northern Institute of Philosophy. Da allora sto in Scozia, tranne per un anno in research leave in USA, nel 2010-11, all’ Institute for Advanced Study di Notre Dame University, a lavorare ancora su legge di non-contraddizione, mondi impossibili, e logiche devianti (mi piacciono le filosofie devianti e non-standard in generale, come avrete capito). Nel complesso, mi piacerebbe prendere meno aerei. Uno che mi piacerebbe prendere sarebbe quello che mi riporta una volta per tutte in Italia, per lavorarci stabilmente.


Nella tua pagina personale sul sito di Ca’ Foscari si legge: «Il mio filosofo preferito è Wittgenstein, sul quale però non ho scritto quasi nulla». Nella risposta qui sopra, Wittgenstein (che piace molto anche a me) non viene nominato: hai cambiato idea?
No non ho cambiato idea, è sempre il mio filosofo preferito. È solo che continuo a non averci scritto su quasi nulla.

Viene spontaneo chiedersi perché, dato che di argomenti ostici ne hai affrontati molti. Si tratta, tra enormi virgolette, di timore reverenziale?

Uhm, mettila così: uno scrive su x quando pensa di avere qualcosa da dire intorno a x – qualcosa che non è già stato detto.
Forse perché mi è molto caro anche umanamente, non ho mai avuto gran che da dire sulla filosofia di Wittgenstein che non sia già stato detto (è stato detto moltissimo, d’altronde).
Comunque una cosina su W. la ho scritta.


 Wittgenstein ha parlato del famoso teorema di incompletezza dell’aritmetica di Gödel (un’altra cosa di cui mi sono occupato). Ne ha dato una strana lettura riduttiva e la maggior parte dei commentatori (incluso lo stesso Gödel) ha concluso che W. non aveva capito niente della prova del teorema, e avrebbe fatto meglio a star zitto. In quel papero ho abbozzato una difesa di W., cercando di mostrare che c’è una interpretazione plausibile per la 
sua lettura del teorema. Niente altro su W., comunque.

Viene in mente La scopa del sistema, il primo romanzo di David Foster Wallace, un libro scritto da uno che muove i primi passi nel mondo letterario, ancora totalmente inzuppato di filosofia del linguaggio e logica modale. La nonna della protagonista, era allieva di Wittgenstein. Ti è capitato di leggerlo?


Non l’ho letto ma da come me lo descrivi direi che lo farò – non prima della fine dell’intervista, though.


Se dovessi spiegare chi è un filosofo analitico (senza ricorrere alla cara vecchia nonna) a una persona interessata ma digiuna di filosofia, cosa le diresti?

Un filosofo analitico è uno che si colloca in una certa tradizione di pensiero originata fra la fine dell ’800 e l’inizio del ’900 con i filosofi Gottlob Frege, Bertrand Russell e Ludwig Wittgenstein, e oggi dominante nel mondo anglosassone. 


Ai filosofi analitici non interessa gran che la storia della filosofia; fanno filosofia per problemi, sistematicamente, piuttosto che per autori (la domanda da fare a un analitico è: Di che ti occupi?, non: Di chi ti occupi? – dice un mio caro amico analitico); rispettano in generale le acquisizioni delle scienze, o almeno cercano di non contraddirle; hanno un certo metodo o stile filosofico basato sull’argomentazione, I controesempi, gli esperimenti mentali, e la valorizzazione della chiarezza.


Un filosofo analitico è anche uno che si caratterizza per contrapposizione alla filosofia che gli analitici chiamano continentale, perché va forte nel continente (europeo), in Italia, Francia e Germania. Sotto quest’altra etichetta ci sono certi storici della filosofia, in particolare quelli che si occupano di autori come gli idealisti tedeschi; certi filosofi della tradizione fenomenologico-ermeneutica che va da Brentano a Husserl a Heidegger all’esistenzialismo francese di Sartre; e certi pensatori deboli postmoderni, come Derrida in Francia e Vattimo in Italia.


L’opposizione fra analitici e continentali è in declino, in molti modi. Per fare un po’ di sociologia spicciola della filosofia: i filosofi continentali duri e puri sono in lento declino anche nelle roccaforti della tradizione, come la Francia. I filosofi analitici che tendono a rimpiazzarli, però, fanno filosofia in modo spesso diverso da padri fondatori come Wittgenstein. 


Intanto, si occupano di cose come la metafisica o l’etica, a cui certi analitici della prima generazione, come i positivisti logici del circolo di Vienna erano refrattari. Poi, spesso riscoprono la storia della filosofia per queste vie: si accorgono che il tal argomento metafisico che credevano di aver inventato si ritrova in Aristotele, o Hume, o Kant.

Ti sei occupato a fondo del lavoro di Severino e nel libro La dialettica della struttura originaria ti sei impegnato a mostrare come la dialettica non consista in una violazione dei principi della logica classica. Ma per le logiche paraconsistenti i primi principi possono essere violati: perciò, come puoi conciliare quel che insegna Severino (l’incontraddittorietà dell’essere) con i risultati di queste logiche?

Essere un logico paraconsistente e credere che ci siano contraddizioni vere sono due cose del tutto distinte. Le logiche paraconsistenti modellano data base inconsistenti o incompleti, corpus di informazioni incoerenti, o credenze contraddittorie: tutti sperimentiamo di contraddirci, o di avere convinzioni incoerenti; ma non inferiamo cose a caso dalle nostre credenze incoerenti, come la logica classica consentirebbe di fare. 
Questa è la motivazione di base per la paraconsistenza. 
Il che non implica che le nostre credenze contraddittorie siano vere: se credi sia P che non-P di sicuro almeno una delle tue credenze è falsa – ma non ne inferisci un Q qualsiasi.


Hai dedicato il libro Tutti pazzi per Gödel all’esposizione dei suoi teoremi di incompletezza, che sono stati un risultato fondamentale per la logica contemporanea. Da studioso di Severino, cosa pensi del suo tentativo di mostrare l’inconsistenza di quei teoremi (cfr. Oltrepassare, cap.2, par.8)? 


Uhm, non ho mai letto, confesso, Oltrepassare, ma ho leggiucchiato un paio di altre cose scritte da Severino sui teoremi di incompletezza. 
Credo che Severino abbia in mente una nozione molto propria di inconsistenza, che non ha niente a che fare con la nozione standard usata in matematica, logica, o filosofia.
I teoremi di Gödel sarebbero «inconsistenti», nello stesso senso in cui, per Severino, tutto (tranne la verità dell’essere) è inconsistente: lo sono in quanto forma di isolamento della terra dal destino della necessità.


 I teoremi di Gödel sono un fatto puramente matematico.
 E anche la matematica (ad es. la teoria degli insiemi, che è il fondamento di tutta la matematica moderna), per Severino, sarebbe inconsistente in questo senso: è una forma di isolamento della terra dal destino della necessità. 
Non ho niente da obiettare in proposito, visto che «inconsistenza», così inteso, non ha nulla a che fare con quel che un matematico o un logico o un filosofo (che non sia Severino) intende quando parla di inconsistenza.


Torniamo al 2006 e ai due libri di logica che hai scritto per Laterza. Perché proprio Laterza? Va bene che i titoli incuriosiscono, ma cosa ti faceva davvero pensare che avresti potuto guadagnarci qualcosa? Credevi in un pubblico non accademico stimolato da argomenti come il teorema dell’incompletezza?


Laterza perché ho spedito a loro il manoscritto (ricordo che lo spedii anche a UTET, ma furono più lenti a rifarsi vivi). Non avevo un’idea precisa di quanti soldi si potessero fare ma tutto poteva far brodo per arrotondare. Non avrei potuto scrivere un libro su cose su cui non ero competente. Fra quelle su cui lo ero, i teoremi di incompletezza e un manuale di logica sono il tipo di cose che possono interessare alla gente (pensa a Gödel, Escher, Bach di Hofstadter, o La mente nuova dell’imperatore di Penrose: libri che han venduto milioni di copie su temi di logica, menti e macchine, incompletezza gödeliana, etc.).


Perché tornare in Italia, dopo tutte le soddisfazioni raccolte all’estero? 


Perché Venezia è il posto che chiamo casa.


Ad Aberdeen hai mai indossato un kilt?


No ma intendo farlo prima poi – è una delle tre cose che occorrono per avere la cittadinanza…


Qual è la compagnia aerea a cui hai dato più soldi?
Uhm, forse l’Air France, ma la mia preferita è la Qantas, perché amo i filosofi australiani.


                                                 Giulia Ribaudo