domenica 2 ottobre 2011

Quando la scienza ha fatto una rivoluzione (culturale)




di Piergiorgio Odifreddi  da "la Repubblica"


L’annuncio del Cern della velocità superluminale dei neutrini ha scatenato accese discussioni sulle possibili conseguenze epistemologiche dell’ormai famoso esperimento. In particolare, si è ripetuto fino alla noia che, se il risultato venisse confermato, ci troveremmo di fronte alla necessità di un "cambio di paradigma": un’espressione riempie la bocca e che allude alle opinioni filosofiche espresse da Thomas Kuhn cinquant’anni fa, nel suo libro La struttura delle rivoluzioni scientifiche. In due parole, l’idea di Kuhn è che una teoria scientifica costituisca un paradigma, appunto, che stabilisce le regole del gioco temporaneamente condivise dalla comunità scientifica.
Queste regole sono accettate fino a quando qualcosa di gravemente anomalo, come appunto potrebbe essere l’esperimento del Cern, interviene a mettere in dubbio la visione del mondo proposta dal paradigma. Se l’anomalia non rientra nei ranghi, finisce per provocare una rivoluzione che abbatte l’ancient régime e instaura un nuovo ordine, nella forma di un nuovo paradigma.
L’idea di Kuhn è diventata a sua volta un paradigma filosofico, e ai postmoderni non è parso vero di potersene appropriare per proporre una visione relativistica della scienza. Le verità scientifiche, essi sostengono, non sarebbero altro che "costrutti sociali" relativi a un determinato paradigma, buoni fin tanto che questo rimane in vigore, ma da buttare e sostituire con altri allo scoppio della prossima rivoluzione.
Ma le "rivoluzioni" riguardano soprattutto le conseguenze filosofiche e culturali delle grandi scoperte scientifiche, assai più della scienza in sé, che procede piuttosto per accumulazione. Prendiamo ad esempio la teoria di Aristotele del moto, da cui Kuhn era partito per costruire il suo modello. Secondo la sua visione, il nuovo paradigma instaurato da Galileo ne avrebbe fatto piazza pulita, e oggi la leggi aristoteliche non sarebbe altro che reperti archeologici.
In realtà, Aristotele e Galileo descrivevano semplicemente situazioni diverse: il moto nell’atmosfera il primo, e nel vuoto il secondo. E’ ovvio, dunque, che trovassero risultati diversi. Ma se si aggiunge l’attrito dell’aria nelle formule di Galileo, si ritrovano esattamente le formule di Aristotele! Chi fosse interessato può vedere i dettagli nel libro di Andrea Frova e Mariapiera Maranzana Parola di Galileo.
L’altro esempio canonico di supposto cambiamento di paradigma è quello al quale Kuhn dedicò il suo primo libro, La rivoluzione copernicana. Come non pensare, a prima vista, che il sistema geocentrico di Tolomeo fosse da buttare, una volta che Copernico aveva riscoperto quello eliocentrico anticipato da Aristarco? Ma, ancora una volta, i due scienziati descrivevano situazioni diverse: il moto dei pianeti osservato dalla Terra il primo, e dal Sole il secondo.
E, se si vuole descrivere nel sistema di Copernico il moto dei pianeti osservato dalla Terra, si riottene il sistema di Tolomeo. Anzi, basta leggere Copernico per accorgersi che egli ricavò appunto il proprio sistema da quello, scoprendone la vera essenza: che metà del sistema tolemaico descriveva semplicemente il moto dei pianeti attorno al Sole, e l’altra metà proiettava il moto della Terra attorno al Sole. Ma certo la scoperta che la terra (e dunque l’uomo) non fossero più al centro dell’universo e l’idea galileiana che "il libro della natura" fosse scritto nella lingua della matematica ebbero conseguenze così radicali per le concezioni filosofiche, culturali, e anche religiose dell’epoca, da provocare, come si sa, la condanna di quelle teorie da parte della Chiesa di Roma. Chi fosse interessato, può vedere i dettagli nel mio libro Hai vinto Galileo!
Nel Novecento, l’esempio più tipico di supposto cambiamento di paradigma è stato il passaggio dalla meccanica classica di Newton a quella relativistica di Einstein, che ha modificato, se non proprio rivoluzionato, la visione tradizionale del rapporto fra lo spazio e il tempo. Inutile ripetere, a questo punto, che di nuovo si tratta di descrizioni di situazioni diverse: moti a velocità trascurabile rispetto a quella della luce in un caso, e a velocità paragonabili ad essa nell’altro. E, di nuovo, le formule di Einstein si riducono a quelle di Newton, quando si tenga conto di questo.
D’altronde, se non fosse così, non si continuerebbe a insegnare Newton nei dipartimenti di fisica e ingegneria, e lo si relegherebbe in quelli di storia. Per lo stesso motivo, si continua a insegnare Pitagora ed Euclide nei corsi di matematica, anche dopo Cartesio e Hilbert. O Aristotele nei corsi di logica, anche dopo Boole. Dunque, non aspettiamoci che i neutrini pensionino Einstein: se non sono una bufala, getteranno paradossalmente una "luce" nuova sui suoi risultati, e forse cambieranno, ancora una volta, il nostro modo di vedere il mondo.