sabato 1 giugno 2013

Dio è Donna?



Dobbiamo ammettere che il bisogno di proteggere la famiglia, in tutto ciò che le si è voluto attribuire di “naturale” e di “sacro”, è ancora molto radicato.

 Lo dice il fatto che non tutti i cambiamenti che l’attraversano vengono portati allo scoperto, descritti con l’attenzione che meritano e riconosciuti nei legami che li tengono insieme.

A parte le leggi che sono venute modificando secolari disuguaglianze di potere tra i sessi in tempi abbastanza vicini a noi -sono degli anni ’70 il divorzio, la legalizzazione dell’aborto, il nuovo diritto di famiglia-, raramente si fa parola della “rivolta” pacifica ma non indolore che ha avuto per protagonista la figura femminile, e come luoghi insoliti di grandi svolte storiche la sessualità, l’amore, la procreazione, la cura e il lavoro domestico.

Con l’istruzione, l’ingresso nella sfera pubblica, l’autonomia economica, la scoperta di un’amicizia con le proprie simili fatta di progetti condivisi e consapevolezze nuove, si è andata sviluppando anche la libertà delle donne di pensarsi come persone, non vincolate fatalmente agli interessi della casa, in quanto mogli e madri, custodi di genealogie maschili dominanti.

Ma di questa rivoluzione che partiva dai corpi, dai sentimenti e dalle relazioni più intime, mostrandone l’ambiguità, le cancellazioni, gli intrecci di amore e odio, è difficile trovare traccia nelle politiche sociali, che continuano a rivolgersi genericamente alla “famiglia”, nel discorso sul welfare, sull’occupazione femminile e sul rapporto maternità e lavoro.

Persino il dibattito che si è andato aprendo sulla violenza che avviene quotidianamente all’interno delle case, sembra muoversi con grande cautela quando si tratta di interrogare legami tradizionali di dipendenza, oblatività, responsabilizzazione femminile , e le scelte libere che oggi una donna può fare riguardo alla propria vita e al proprio benessere.

Se l’idealizzazione della famiglia è così duratura, nonostante sia smentita dai dati che parlano di separazioni, divorzi, maltrattamenti, abusi e omicidi, oltre che del numero crescente di persone che vivono sole, forse è perché è lì, negli interni delle case, che tornano ancora a confondersi la nostalgia dei figli, il potere di indispensabilità delle madri e i residui di un dominio patriarcale in declino.

Per essere stato così a lungo depositario dei bisogni primordiali dell’essere umano, della memoria della specie e di ogni singolo individuo, il nucleo famigliare è oggi il luogo più esposto a spinte contrastanti di conservazione e cambiamento.

 Il saccheggio che subisce quotidianamente per l’invasività del mercato e dei nuovi mezzi di comunicazione, se per un verso lo costringono ad aprirsi verso il mondo, per l’altro ne rafforzano la funzione protettiva e l’immagine di riserva salvifica.
Il dubbio che le donne, mogli, madri, sorelle, non siano più disponibili a portare il peso maggiore in fatto di cura e sostegno morale alla crisi di un modello di civiltà che non hanno contribuito, se non indirettamente, a creare, è certamente una delle ragioni che porta in questo momento allo scoperto, proprio a partire dalla famiglia, fragilità e violenza maschile.
La perdita della centralità che ha avuto la figura materna in quell’aggregato tutt’altro che secondario della grande economia che è il lavoro necessario alla riproduzione della vita, è come se avesse tolto il velo alla neutralità e all’autonomia apparente di cui si è fatto forte finora il primato maschile nel governo del mondo. 

Ma ha lasciato anche le donne nella posizione incerta di chi vede decantati i vecchi equilibri, senza che se ne siano profilati dei nuovi.
Mancano ancora, in questo difficile, contraddittorio passaggio della convivenza umana, la volontà e l’immaginazione necessarie per ripensare il piacere e la responsabilità del vivere fuori dalle divisioni di ruoli, dalle gerarchie di potere e di valore, che hanno segnato disastrosamente non solo la relazione tra donne e uomini, ma anche tra corpo e pensiero, biologia e storia, individuo e società.
Nel difficile, incerto passaggio a una diversa distribuzione di responsabilità e di compiti, ma anche di piaceri e occasioni di arricchimento personale tra padri e madri, può capitare che siano gli uomini a riscoprire ciò che è loro mancato nelle prime cure di un figlio, e le donne esitanti ad abbandonare il ruolo con cui finora hanno dato un senso alla loro vita, per scelta o per imposizione, o per entrambe.

Fanno riflettere alcune considerazioni contenute nell’articolo di Sarantis Thanopulos pubblicato dal Manifesto  a proposito dell’uomo di 40 anni che alcuni giorni fa ha gettato dalla finestra la figlia di 14 mesi e il figlio di 4 anni, e che subito dopo ha cercato di fare la stessa cosa con la moglie. Non ci è riuscito e alla fine si è buttato giù suicidandosi.
“Secondo la percezione dei vicini la famiglia era “felicissima”. La cronaca è piena di fatti atroci che accadono in famiglie felicemente normali secondo la percezione di tutti, diretti interessati compresi. La cosa è comprensibile: si considera normale l’assenza di conflitti, la familgia stessa si adopera per anestetizzarli, per renderli innocui (…)Le famiglie non sono né colpevoli né innocenti. Sono abitate da fantasmi che i poeti tragici hanno messo sulla scena ben prima che li scoprisse la psicanalisi. La materia di questi fantasmi è fatta di desideri rimossi, di passioni in cerca di rappresentazione, di emozioni in cerca di pensiero che possa renderle leggibili e gestibili. Più le famiglie sono priva di conflitti più la funzione paterna latita (…) Il mondo è pieno di uomini che procreano senza essere padri, senza sentire di poterlo essere. I figli sono un regalo che la donna ha loro estorto e occuparsene li riempie di angoscia. Sono padri senza futuro e se il futuro si affaccia lo attaccano.”

Nel caso in questione l’uomo era disoccupato e la famiglia si reggeva sul lavoro della moglie, e l’angoscia forse è nata proprio dalla perdita di un ruolo tradizionalmente maschile e dallo smarrimento di fronte a un compito di cura di solito delegato alla madre, e quindi percepito come “femminile” e svalutante agli occhi di altri uomini.
Di questo groviglio di sentimenti che crescono dentro le case, nei rapporti di coppia, poco si dice e forse poco sanno coloro che li vivono. Sull’educazione dei sentimenti poco è venuto finora anche dalla scuola.

                                                                                  

                                                                               Lea Melandri
















Fonte: Corriere della sera