sabato 1 giugno 2013

Eredità di Memorie




Così ho voluto redigere l'inventario di queste collezioni di fiori e di farfalle, che conservo ben ordinate nella mia casa di campagna; ma il notaro non si accorgerà che in quelle stanze si aggirano, accennanti con mesto sorriso, ombre care che solo quando questa casa crollerà saranno morte davvero: e che i paesaggi che si scoprono da quelle finestre sono anch'essi vivi come persone. Ai miei eredi lascerò detto che, in quanto alle mura di quella casa, se le prendano pure per loro; ma in quanto al mio erbario, che racchiude il vecchio odore di questa terra, quello bisognerà che me lo seppelliscano accanto, come mia suppellettile personale. Questa è la terra dove ci par che anche le cose abbiano acquistato per lunga civiltà il dono della semplicità e della misura: i composti panorami che, senza sbalzi di dirupi e asperità di roccie riescono di collina in collina a non ripetersi mai, i boschi in cui la cortina delle fronde non è mai così folta da nascondere la nervosa agilità dei fusti; i fiori di campo, un po' gracili ed asciutti; la grazia provinciale e dimessa di queste farfalle. Anche la natura par che qui si sorvegli per sdegno d'ogni falsa veemenza: come accade tra amici veri, che non si abbandonano mai, anche quando l'affetto vorrebbe, a parole di aperta effusione, ma nel motto scherzoso c'è spesso soffocato un sospiro, e la facezia è un pretesto per non piangere o non imprecare.
Questo paesaggio per farsi riconoscere non ha bisogno di agghindarsi di colori: gli basta il disegno, come un'incisione
in bianco e nero, per esser lui. Per goderlo, bisogna venirci in inverno, quando i filari segnano sulle piaggie grigie il bruno ordito dei campi e le nere strie dei cipressi si stagliano come
bulinate sulle rughe dei colli; e tutt'al più ai primi barlumi di primavera, verso marzo, quando sui rametti invernali non ci sono ancora foglie spiegate e soltanto sulle loro cime la luce comincia a rapprendersi in un presagio di biondo gemmante, che tra un mese appena sarà diventato verde fondo. Allora, sul nudo rilievo del terreno si posson seguire come sopra un plastico le giravolte delle strade maestre, e veder come agilmente svoltano i ruscelli, con quel loro corteggio di pioppi allineati come pennellini, dietro le quinte delle colline, in cima alle quali si affacciano case di contadini belle come castelli incantati. Miracoli di questo paese, in cui, senza che ci si accorga del cambiamento, i rami vecchi si ridestan germogli, e tra le rughe dei gravi volti senili guizza all'impensata con un arguto strizzar d'occhi il fresco brio dell'adolescenza in agguato.
Questi posti li sappiamo a mente; eppure quando ci avvien di ripassarci in treno, non si ripara a guardar dai finestrini: tante sono di qua e di là le apparizioni che ci fanno voltare, come persone che sventolino il fazzoletto per farsi riconoscere. Da quell'apertura di valle vedi accennar per un istante il profilo di una torre, dove senti, ancor prima di ricordarlo, che c'è qualcosa di tuo: forse il borgo dove tuo padre andò a scuola da bambino o dove tu giovinetto incontrasti il tuo amore: o forse la pieve ove nacque quel pittore di cui questo paesaggio sembra ricopiare i quadri, o dove morì quel poeta i cui versi ti sono sempre parsi come rubati al tuo stesso cuore. Tutti questi incontri hanno una stessa aria di parentela: appartengono alla stessa famiglia, in questo paese, i tuoi
genitori e i tuoi artisti.
Paese discreto e pensieroso, dove ogni colle, quantunque svariato alla vista da pinete o da vigne, chiude nel suo segreto di una stanza sepolcrale scavata nel tufo, dentro alla quale, sdraiati sullo stesso letto di pietra, marito e moglie, colla testa compostamente appoggiata sulla mano, si scambiano in eterno un ambiguo sorriso di statue che non vuoi parere dolore, poiché anche la morte è da millenni composta e pudica in questo paese, dove sono uguali, a chi li guarda in lontananza sui poggi, i viali di cipressi che portano alle ville e quelli che portano ai camposanti; e dove le vecchie case conservano ancora la porta del morto, dalla quale chi se va può uscir per suo conto, senza disturbare chi resta. Paese dove ogni sorriso sfuma in mestizia, ed ogni lacrima, per non dar noia a chi può vedere, cerca di nascondersi in celia; dove le pene e le gioie più disparate, le vicende più grandi e le più umili, lontane di secoli o nate con noi, si ritrovano livellate e ricomposte in un'armonia casalinga che abolisce le distanze e i tempi e fa sentire che nulla importa o tutto importa nello stesso modo: i nostri morti e i nostri figliuoli, gli incontri della nostra infanzia e gli addii della nostra vecchiaia, i canti delle veglie sulle aie notturne, gli ipogei nascosti e i fiori che si abbelliscono delle loro ceneri, i nostri lutti, il nostro amore, il passato e l'avvenire, le nostre speranze, la nostra libertà: Toscana, dolce patria nostra. 



        Piero Calamandrei,Inventario della casa di campagna,
       Le balze, Montepulciano 2002, pp. 286- 290.