giovedì 16 giugno 2011

Della Vertigine della Precarietà, dell’Insolenza del Ministro e della tentata Cura.

      


Ha scritto George Orwell <<per vedere quello che abbiamo davanti al naso, serve uno sforzo costante>>, vi è dunque necessità d’immedesimazione e di partecipazione per riuscire a scorgere e tenere lungo lo sguardo, tanto più quando il ruolo o la funzione istituzionale propongono di ideare meccanismi di trasformazione e di cambiamento, che si misurano con i problemi reali delle nostre vite e del nostro tempo; per innovare e talvolta modernizzare più complessivamente anche le nostre convinzioni. 


Colpisce perciò l’assoluta mancanza di considerazione eleganza e sensibilità dell’improvvido ministro Brunetta che nella sua ignobile esternazione contro i Precari ha suscitato scatti di dignità, orgoglio e passione per rilanciare il tema della precarietà.

Precarietà è termine che verosimilmente deriva da prex, preghiera, sembrerebbe voler dire “ottenuto per concessione altrui, che non dura sempre” - dunque qualcosa d’instabile e temporaneo -  destinato cioè  a una durata limitata o breve.

 La connotazione terminologica, suffragata anche dalla lunga tradizione filosofica e religiosa, ha dunque una caratterizzazione nella dimensione fragile e impermalente, della vita di uomini e donne in una parola della umanità dolente, che nonostante tutto resta in attesa, non certo per incauta scelta bensì per violenta necessità. 


Un' umanità dolente che attende magari la conclusione di un contrato a termine a durata annuale. Quella che tanti <<peggiori>> attendono tirando avanti con dignità e coraggio magari i docenti del sistema dell’Istruzione pubblica italiana, ai quali senza vergogna rinnovano contratti precarizzati da settembre a giugno.

Quanto accaduto a Roma protagonista l’insolente Ministro della Repubblica Renato Brunetta non è una questione semantica né lessicale.


 L’offesa gratuita e incivile ha scorticato una ferita putrida e puzzolente che solo l’arroganza ignobile di questa classe politica può trattare in questo miserabile modo.
 L’incapacità di elaborazione del ministro, e lo strumentale disconoscimento della “questione precari” nel nostro paese, è un dato incontrovertibile di inadeguatezza, con cui lui stesso e numerosi altri suoi colleghi di questo sudicio governo Repubblicano italiano si sono già altrimenti misurati.

Si sono sentite proferire cose ignobili e miserevoli, degne della levatura di questi questi minuscoli statisti; ma stavolta l’offesa del disprezzo e della condanna deve essere lavata in un unico modo possibile: le Dimissioni.


Si chiedono a nome e per conto di una generazione di donne e uomini quarantenni che, sono stati condannati esattamente da questi nani della politica italiana a cronicizzare senza nessun senso lo stato di una condizione drammatica e insopportabile, che essi pur disdegnano e dai possono solo fuggire.

Un tempo il significato della parola Precariato è stato ampio e si poteva forse anche tollerare uno sciocco gioco lessicale che alimentava illazioni e squallidi fraintendimenti; oggi la strumentalizzazione è inaccettabile poiché il termine è trasferito con frettolosità dall’ordine economico a quello umano, esso è entrato più che nel lessico del lavoro, nella vita delle persone, ricondotto come tale a un fattore che fa derivare il diffuso senso di incertezza, da situazioni assai spesso disperate che pervadendo tutte le sfere dell’esistenza, schiacciano e massacrano le vittime immolate all’estremo sacrificio.

Sono molteplici le esperienze precarie di chi  deve fare i conti ogni anno mese e giorno con un mostro che corre dietro alle loro vite e che non si è scelto: lo stato ignobile della precarietà. 


Sono molti ad esempio i ricercatori e professionisti della conoscenza, studenti e le intelligenze creative di questo paese, a cui è già negato ogni privilegio di scelta e ai quali nessuno ha guardato e guarda con considerazione; ma che non per questo è offendibile come  parte peggiore della nazione.

Essi rappresentano loro malgrado generazioni di donne e uomini che non sanno come progettare la propria esistenza, individuale e collettiva, che spesso lottano con rabbia per abbattere lo stato di cose presenti, anche senza aver chiaro che cosa proporre per il futuro a sé e alle loro famiglie; ma che malgrado tutto continuano a vivere, lavoricchiare studiare, credere e sognare.

Sono Volti, Storie e Sofferenze, che accorciano talvolta nei drammi le loro distanze; in molti altri casi quelle distanze tra loro e una politica inadeguata, le divaricano rendendole incolmabili nella somiglianza; distanze tra Chi non l’ha ancora conosciuta e chiede le applicazioni della democrazia; e tra chi la democrazia conosce e la contesta poiché ne sperimenta sulla propria pelle ogni giorno i limiti e l’incapacità di cambiare un sistema economico spietato, ma soprattutto un sistema politico incapace incompetente e inadeguato le cui vittime sacrificali uccidono le fondamenta stesse della società civile.

Negli ultimi tempi in Europa e fuori dall’Europa la sindrome precarietà si è estesa diffusamente, rendendo per così dire  <<uguali nel disagio>> uomini e donne di ogni latitudine geografica. L’urlo corale è stato per tutti : “Ci rubano il futuro” parola d’ordine che ha unito lotte talvolta tanto diverse e distanti. Tutti accomunati dalla medesima condizione di precarietà che unisce le ultime generazioni, con le precedenti e non vorremmo con quelle successive.

La precarietà lavorativa, è dura da sopportare, poiché tiene in uno stato d’insicurezza, di ansia che il più delle volte Esclude, collocando ai margini per lunghi periodi: colloca fuori dal lavoro, fuori dal mercato, fuori dal simbolico, fa vivere nell’ombra e tiene in scacco con sempre costanti nuove minacce, come quella di essere ricacciati in zone dove non si ha valore e non si conta, dove i diritti rappresentano un lusso per pochi eletti e i privilegi un beneficio per politici di casta.

 Dunque come tale il Precariato merita Rispetto Considerazione e Spazi di Visibilità, in qualunque contesto, sebbene il ministro non ne approvi la presenza, ne neghi l’esistenza e ne mistifichi i bisogni, fin anche quello di parola.

Una linea collega e relaziona tra loro diverse generazioni precarie di lavoratori di  uomini e donne di questo paese: Equilibri precari, di questo assurdo tempo storico, che solca finanche il tempo di questa insulsa politica che non interpreta i bisogni, non intercetta le necessità e che dovrebbe collocare  ai margini della società unicamente i politici incapaci, inadeguati e buffi, posto dove meriterebbero di essere cacciati: altrove.

La precarietà è condizione comune per soggetti-oggetti vulnerabili, anche della biopolitica, da cui derivano lotte che - si sbaglia -  a considerare parziali o ideologiche, che altresì sono Collettive e a ben guardare forse sono anche Intergenerazionali, trasformate cioè in lotte tra padri e figli.

Lotte che dallo stare in bilico hanno provato ad applicare forse solo l’arte della dignità; e che magari parossisticamente distinguono la retorica dalla flessibilità, dalla prospettiva di libertà, proposta da certi economisti liberali, che amano esaltare la possibilità di non legarsi tutta la vita a un’unica attività lavorativa a un unico luogo; ad aspetti ben più complessi e articolati, forse meno banali e vuoti, che tentano di legare elementi diversi, talvolta contraddittori, ai quali la politica dovrebbe saper, essere attenta.

Bisogna riconoscere che certi economisti, le spalle le hanno ben coperte e cercano di spacciare per naturale o necessario un ordine (o disordine) che è invece frutto di precise scelte storiche e politiche. Quelle che pesantemente stiamo tutti nostro malgrado vivendo come ignominia della miserevole condizione di chi questa condizione ha marchiata a pelle.

L’insulsa retorica del governo Berlusconi, di cui Brunetta si è reso protagonista, ha in fondo confermato un dato consolidato dalla politica attuale così come di quella meno recente che è usitata nel manifestare scarso rispetto per segmenti di umanità.

In fondo certi avvenimenti squarciano un velo, svelando nudità ignobili, magari quelli della stessa politica che non si capisce bene come conservi e tramandi cariche e ruoli dai padri ai figli, annullando ogni precarietà. 


Nonostante si tenti di propagandare l’ideologia dell’imprenditoria di sé, che ottunde ogni capacità critica, cogliendone in essa un sottile godimento perverso e non troppo nascosto nella parvenza di libertà del cambiar lavoro, che investe nella stessa sciatteria più che nella gigantesca vulnerabilità.

L'incapace ministro Brunetta vorrebbe Trasformare l’insana convinzione del Precariato in un guadagno in libertà; nell’idea che far parte di qualcosa anche se precario finalmente accomuna e che come tale fa ‘valere’.

Peccato che abbia trascurato di considerare la prima come inganno che annichilisce e mortifica, sottraendo tempo per sé, per le relazioni, spesso per i contenuti sostanziali. La seconda che contempla di sé il valore, ne favorisce invece l’ambiguo desiderio di una proliferazione di desideri oggettuali, con l’adesione a infiniti attaccamenti a stereotipi (beni), provocando un senso di svuotamento e di mancanza, da cui nascono cose: insoddisfazioni, crisi, tensioni.

Dal vuoto, dalle mancanze possono nascere desideri senza oggetto, desideri dell’impossibile, tangibili,e reali che convogliano aspettative e visioni del reale trasformandole talvolta in istanze, non sempre di adeguata passione per il reale, ma più spesso in annichilimento, miseria e povertà.
Mentre invece nascerebbe dalla passione per il reale l’amore del mondo, della curiosità per ciò che abbiamo intorno, per la bellezza e magari l'armonia di relazioni tra generazioni diverse; strumento potente specie quando si trasforma in interesse per la politica.

Scegliendo perciò di valorizzare ed esaltare differenze e le sanabili antinomie, che frappongono ostacoli alla realizzazione di una buona Politica fatte da altrettanto buoni Politici, all’altezza di ruoli e funzioni, scopriamo perciò che ad allontanarsi dalla realtà, levitando nel mare della vacuità e dell’inconsistenza, non siamo Noi Comuni cittadini peggiori di questo incomprensibile paese; ma costoro – politici senza ritegno né vergogna come Brunetta - che cominciano a correre a gambe elevate di fronte alla realtà.

In fin dei conti non mi sono sentita offesa dall’incauto Ministro, per essere stata tacciata come Precaria elemento Peggiore dell’Italia, messa alla berlina  o sullo stesso piano di un corrotto fraudolento ladro o assassino dello stato e della democrazia, di un bancarottiere  di un non meglio specificato e ignobile delitto -questo sì autentica vergogna della società! -   
– No, non è per questo che mi sono indignata -   Non ha neanche urtato la mia suscettibilità, il sentirmi “pezzente” più simile e vicina a un modello di varie povere umanità precarie, dove nelle relazioni tra generazioni ho finanche ritrovato il valore della mia storia umana,  in un passato di emigrazione della storia della mia gente, la stessa del mio paese, nel mio identico presente.
Quanto piuttosto mi offende la convinzione che attraverso il lavoro precario dignitosissimo, passa il paradigma del diritto al lavoro, con il quale Essi (politici di governo) vorrebbero modellare l’asse dell’intera società civile reinventando presente e futuro della nazione, attraverso un lavoro precario e senza diritti.  


E’ infatti con il lavoro che si costruiscono le strutture antropologiche del sociale. 
Quelle che occorrono per far marciare il paese in Europa nel mondo. 
Sono le coscienze dei lavoratori a qualificare il lavoro; sono le esperienze precarie che quel lavoro lo banalizzano; cancellando il Lavoro attraverso il Non riconoscimento dei Diritti umani e civili.

Direbbe Kant <<la più grande e più grave miseria degli uomini non dipende dall’avversa fortuna ma dall’ingiustizia>>.

Questo nostro presente dilaniato da cadute fisiche e morali è scosso nell’immaginario di tutti, dall’idea di un eterno insanabile conflitto manicheo delle parti sociali, impedisce la tessitura di qualsivoglia discorso credibile su questi temi e problemi concreti a cui trovare soluzioni, forse semplicemente per assoluta mancanza di credibilità di certi ministri di questo governo.

Perciò fuori dall’ordine simbolico, delle sue esternazioni – Ministro Brunetta -  si ricacci dai luoghi dell’esclusione alla quale meriterebbe guadagnare un suo spazio proprio; per partecipare al banchetto della nostra concreta precarietà non certo vacua e inconsistente come le azioni del suo ministero.


 Si muova con noi verso una libertà che non cerca l’inclusione nel sistema, ma piuttosto l’iscrizione in un ordine che permetta di  creare mondi e relazioni possibili, nel segno dei diritti, che vorrebbe per parte vostra voler dire rispondere alle vostre precise responsabilità politiche nel non saper affermare senso del reale ed efficacia.

Su ciascuno attuale politico Grava infatti l'inadeguatezza nel non riconoscere consapevolezza e senso di responsabilità, e la vostra incapacità pesa come un macigno sulle vite precarie di giovani-vecchi.

Inviterei il piccolo ministro perciò non a chiedere scusa ma a dimettersi perché incompatibile con il paese reale, del quale non può essere degno rappresentante se non della sua insopportabile arroganza e mediocrità.

 Espressione mal riuscita di un sistema politico sgangherato e claudicante, autoreferenziale per nulla innovativo e prospettico.
Incapace di iscrivere nel proprio paradigma politico altri mondi e relazioni possibili al di fuori della propria, nell’ordine simbolico di vite e di problemi ai quali non è capace di rispondere e che per questo sfugge.

In fondo si poteva tentare di mettere insieme tutte le forme dalla precarietà per determinare da esse, aperture e soluzioni di Cambiamento, per disancorarsi da identità e ruoli fissi, legati semplicemente al lavoro al consumo, alla fruibilità.


Egli avrebbe potuto più semplicemente porsi e rispondere alla domanda ‘chi sono costoro, cosa rappresentano?’ Sarebbe bastato poco più che l’ascolto di ciascun contenuto, per mostrarsi anche solo ipocritamente disponibile ad approntare una situazione  non esattamente  alla sua altezza per l'inconsistenza delle  trasformazioni e delle innovazioni della sostanza di cui non si è stato capace.

Rocamboleschi “salti mortali” i precari li garantiscono tutti i giorni, ma essi Non sanno assicurare insane “addomesticabilità”  per imparare ad essere di inciampo a loro stessi e aderire alla domesticità che costringe a un ordine creato senza di loro ma che pure di essi ha bisogno.

Vorrei perciò mettere in gioco il senso più alto o forse tutti i significati del valore professionale e individuale del genere, specie quando è possibile rintracciare parole e sostanza della creatività, della sperimentazione.

 Politicamente certe cose sono già accadute, ma ciò non significa che restano fisse e immutabili; c’è sempre qualcosa, una forza, un’energia che spinge altrove. Per questo sollecitare immaginari e destinazioni Nuove  di stabilizzazione, sviluppo e progresso, è in fondo un tributo alla vita nella quale tutti vorrebbero costruire la loro storia meglio di come si stia già facendo e a nutrire la speranza che una normalità che cancelli il precariato possa solo far bene al paese.

In fondo hanno scaricato addosso a diverse generazioni di precari ultra quarantenni, il compito di attivare il lungo lento processo della trasformazione in tutti i settori della nostra società civile; ad essi hanno demandato oneri ma non onori, anche quando nell’incertezza del futuro essi si caricano del difficile compito di ricostruire e riempire di senso di questa caduta.


 La caduta non di un eccesso, ma del venir meno di una traiettoria, percepita come sorprendente perché procede in senso inverso a quello che pensano naturale, e che i giovani/vecchi precari hanno l’onere di dover ricostruire col sudore e le fatiche di lavoratori e lavoratrici delle personali risorse, frutto esclusivo delle loro intelligenze, che la politica pur rinnega, offende e avvilisce, ma che è necessario difendere fino allo stremo.

Si tratta di risolvere il problema, ri-fondando e rinnovando la civiltà di questo paese, cominciando da un’adeguata rappresentazione dei disagi. Intraprendendo una nuova strada, fuori dalla mera costruibilità, della quale doverci far carico tutti, attraverso un alto senso etico e morale delle  professioni, dei mestieri nel rispetto degli individui.

 E’ fin troppo noto come le generazioni precarie italiane, abbiano attuato forme di resistenza affermative di essi stessi, espresse proponendo  altre prospettive interpretative dei problemi che i legislatori hanno l’obbligo di ordinare.

 La posta in gioco è, quella di creare nuove alleanze tra parti, fatte fuori da giochi politici confusi e improvvisati che avviliscono i ruoli e forse anche le funzioni in contesti sociali difficili e incerti come quelli attuali.
E’ bene allora vincere la riluttanza, smascherare un sistema politico arrogante e torbido, che non si capisce bene che cosa abbia a cuore.

Questo è un invito a recuperare la capacità di saper distinguere ciò che rappresenta una porzione di civiltà e dignità italiana; e ciò che ne governa le contraddizioni e le ambiguità, con cieca volontà di non saper che cosa fare.


                                                   Donna Bruzia