(...) Gramsci, autore contemporaneo italiano oggi (...) forse con
Pasolini, più studiato e tradotto nel mondo. (...)
Ha avuto alterne fortune la vicenda di Gramsci, prima
ignorato, poi scoperto nel 1947, grazie alle Lettere dal carcere,
seguite – in una geniale operazione politico-culturale pensata da Palmiro
Togliatti, con la casa editrice di Giulio Einaudi – da una edizione dei Quaderni
del carcere, accorpati per temi, in sei volumi, tra il ’48 e il ’51, e poi
ancora dagli scritti precarcerari, ossia fino al 1926, quando Gramsci, deputato
in carica del Partito comunista d’Italia, fu arrestato in spregio all’immunità,
qualche giorno prima dell’entrata in vigore delle cosiddette “leggi speciali”
pensate e volute da Alfredo Rocco, il giurista nazionalfascista, che oggi tanti
inseriscono nella galleria nobili dei padri della Patria italiana.
Gramsci era nato nel 1891, il 22 gennaio, ad Ales, e
morì a Roma, in clinica, il 27 aprile 1937. Poco più di 46 anni nei quali, a
dispetto della malattia, gravissima, che colpì nell’infanzia, e ne minò il
fisico; a dispetto della difficoltà di un’esistenza sempre misera; a dispetto
delle difficoltà della situazione storico-politica; e, soprattutto, a dispetto
della carcerazione, che andò assumendo nel corso degli anni un carattere
persecutorio: a dispetto di tutto ciò, egli ha prodotto un doppio tesoro di
valore universale: quello letterario e etico delle Lettere, e quello del
pensiero che sono i 33 Quaderni, lo Zibaldone del XX secolo (ma
concettualmente ben più importante di quello, straordinario, di Giacomo
Leopardi del secolo precedente; curiosa coincidenza la morte a distanza di un
secolo tra i due, essendo mancato il primo esattamente nel 1837).
Oggi la bibliografia di scritti su Gramsci ha superato
i 20.000 titoli, in una quarantina di lingue (ma si tratta di calcolo
incompleto, e dunque di dato provvisorio), esistono centri studi a livello
internazionale che all’analisi del suo pensiero o alla ricostruzione della sua
biografia si dedicano in modo continuativo, come dimostra la continua fioritura
di convegni e seminari; è in corso l’Edizione Nazionale degli Scritti – grande
impresa sotto l’egida della Fondazione Gramsci di Roma –, ogni mese escono più
saggi, articoli e si tengono conferenze su questo eccezionale pensatore e uomo
d’azione; e, dopo tante controversie, dopo abbandoni e rimozioni, dopo
strumentalizzazioni e appropriazioni, dopo scoperte e riscoperte, finalmente si
può affermare che Gramsci sia entrato in modo inamovibile nel Gotha
dell’umanità.
E una nuova generazione si affaccia da tempo, ormai,
sull’universo gramsciano, scandagliandolo con uno sguardo nuovo, con mente
sgombra da pregiudizi e da condizionamenti partitici o di clientele
accademiche, o ancora di interessi editoriali.
Questa generazione, che personalmente sto
accompagnando da anni, ha dato ancora una volta ottima prova della sua passione
e della sua competenza, collaborando – in ben 32 autori, di età compresa,
all’incirca, fra 27 e i 40 circa) – a un volume collettivo (Il nostro
Gramsci. Antonio Gramsci a colloquio con i protagonisti della storia d’Italia,
Viella editrice, Roma) che non ha deluso l’aspettativa.
Ma al di là del libro
vorrei ricordare la manifestazione, da me stesso ideata, con la collaborazione
della Fondazione Istituto Piemontese Gramsci, tenutasi a Torino, la città
decisiva per la formazione del pensiero e della personalità del Sardo, il
giorno 20 gennaio (con lo stesso titolo del libro).
In essa, ciascun autore ha
raccontato, “recitando” come se fosse Gramsci stesso a parlare, il suo
personaggio, scegliendo tra quelli proposti nel libro, da Dante a Petrarca, da
Foscolo a Giuseppe Verdi, da Cavour a Giolitti, da D’Annunzio a Marinetti, da
Mussolini a Malaparte.
Una kermesse seria, ma leggera, a dimostrazione che si
può essere rigorosi senza produrre noia, suscitare l’attenzione di chi ci legge
o ascolta, senza prostrarne lo spirito.
Che cosa emerge dal libro, o se si vuole dalle
ricerche che questi nuovi gramsciologi (tutti variamente anche “gramsciani”)
hanno messo in campo negli scorsi anni e di cui il volume è testimonianza
originale? Ne viene confermata la dimensione storica del pensiero di Gramsci,
ma, soprattutto, la sua continua, costante, fervida attenzione all’Italia,
all’Italia una e plurima, alle sue diversità territoriali e al suo spirito
nazionale; e il punto di partenza gramsciano è sempre nazionale (talora anche
locale), ma il suo orizzonte è sempre sovranazionale: non c’è concretezza
nell’analisi politica – dunque nelle scelte operative per trasformarla in
azione concreta – se non si adotta quel punto di partenza, il quale, nondimeno,
va sempre traguardato, superato, perché siamo parte di un sistema-mondo che non
può essere messo tra parentesi.
Pensatore nazionale, dunque, Gramsci, che riflette, da
marxista critico (ma si ricordi che il pensiero gramsciano non può essere tutto
ristretto nell’alveo marxista, pur nella sua immensa portata), da
rivoluzionario, da comunista umanista, sulla storia d’Italia, cercandone i fili
conduttori, in un tentativo indefesso di coglierne le varianti e le continuità,
elaborando, a partire dall’esame di concrete situazioni, concetti generali
(giacobinismo, cesarismo, bonapartismo, egemonia, dominio, consenso, guerra di
posizione e di movimento, direzione politica, intellettuali organici, classi
subalterne, rivoluzione passiva…), i quali gli servono poi per gettare lo
scandaglio in altre situazioni, anche assai diverse e lontane.
Così Gramsci ci
fornisce un duplice insegnamento, il primo storico, aiutandoci a comprendere la
trama della nostra vicenda millenaria, e il secondo teorico, dandoci la chiave
per aprire tanti armadi relativi ai meccanismi del potere, della cultura, della
società.
Ma infine, percorrendo tutta l’opera di Gramsci, come
hanno fatto i collaboratori di questo libro, emerge che le chiacchiere che nel
corso del Centocinquantenario abbiamo sentito o letto, di un Gramsci “nemico
del Risorgimento” appartengono appunto al regno del chiacchiericcio, dove non
penetra mai, ahinoi, la luce del sapere storico, e neppure, sovente, quella
dell’intelligenza critica, ma dove, invece, si costruiscono menzogne, si
distribuiscono scempiaggini, si consumano luoghi comuni non verificati perché
inverificabili.
Gramsci, dunque, italiano, ma aperto alla comprensione
e al più fecondo dei dialoghi con quel mondo “grande e terribile”, come ebbe a
chiamarlo più volte, ma del quale si professava convintamente cittadino, pur
sentendosi sardo, uomo del Mezzogiorno, e, soprattutto, italiano. E le critiche
che egli muove al processo unitario, forti, serrate, talora assai aspre –
critiche che denunciano gli aspetti deteriori, le politiche sbagliate,
l’impostazione addirittura spesso razzista del Nord verso il Sud, sacrificato
sull’altare dello sviluppo industriale settentrionale, e così via – non hanno
mai inteso mettere in forse quel processo, o cancellarne il valore storico e il
significato progressivo.
Ricordiamocene, ora che ci tocca, pur essendo concluse
le celebrazioni unitarie, continuare a sentire ogni giorno le bestialità dei
goffi paladini della cosiddetta Padania, sia su pretesi caratteri autoctoni “positivi”
dei lombardi, veneti, piemontesi (ecc.), contro gli asseriti caratteri negativi
dei meridionali, sia sul Sud parassitario “palla al piede” del Nord virtuoso, e
così via.
Gramsci ci dà una lezione di storia, e ci richiama a un significato
complesso e articolato della famosa “identità italiana”, lontano da qualsiasi
malinteso orgoglio, estraneo ad ogni nazionalismo, particolarismo ed
esclusivismo. Una lezione preziosa anche se guardiamo verso quella popolazione,
ormai numerosissima, di subalterni immigrati, che vogliono diventare italiani,
e ai quali noi opponiamo rifiuti sbagliati sul piano economico, inaccettabili
sul piano politico, repellenti su quello morale.
Grazie, Gramsci!
Fonte: MicroMega