lunedì 30 maggio 2011

NOI

Nel 1922 Evgenij Zamjatin, ingegnere e scrittore russo, compone la prima antiutopia del nostro secolo: Noi

Il romanzo si sviluppa in una serie di note in cui il protagonista, D-503, registra puntualmente ciò che gli accade: viene così descritto lo Stato Unico, con a capo il Benefattore, che nel 29° secolo riunisce sotto di sè l'intera umanità. 

Noi è una spietata denuncia non solo del regime sovietico instaurato da Stalin che ha tradito gli ideali della rivoluzione russa, ma rappresenta un atto di accusa contro ogni totalitarismo e contro la crescente meccanizzazione dell'uomo operata dallo sviluppo scientifico e tecnologico.
Il titolo adottato da Zamjatin è di per sè programmatico: My, cioè Noi; il numero D-503, che è uno dei matematici dello Stato Unico e Primo costruttore dell'Integrale, la nave interplanetaria che deve imporre agli altri pianeti il giogo dello Stato Unico, si mette a scrivere per raccontare agli ignoti abitanti di altri pianeti tutto quello che vede e pensa, più precisamente di ciò che noi pensiamo appunto:

(«noi e che Noi sia il titolo delle mie note. Tutti ed io -- scrive Zamjatin -- siamo l'unico Noi: Noi proviene da Dio, ma io dal diavolo», Noi, Milano 1990, p. 94). 
 I cittadini dello Stato unico hanno perso perciò ogni nozione della propria individualità. 
C'è l'auspicio che la scienza nel suo progresso riesca ad eliminare anche le varie diversità fisiche affinché ognuno possa essere uguale ad ogni altro. 
Essi non hanno nome, ma sono solo dei numeri: la coscienza della propria individualità viene vissuta come una malattia da estirpare, perché gli uomini valgono soltanto in quanto meccanismi di un unico e grande ingranaggio, lo Stato mondiale:
Macchine ed uomini formavano tutt'uno, le macchine perfette come uomini, gli uomini perfetti, simili a macchine. Vi era in tutto una bellissima, altissima, sconvolgente armonia musicale. ... La Tavola delle ore (la legge dello Stato Unico) ha fatto chiaramente di ognuno di noi l'eroe di acciaio a sei ruote di un grande poema. Ogni mattina con la precisione delle sei ruote alla stessa ora e allo stesso minuto, noi, milioni, ci alziamo come un essere solo. Alla stessa unica ora, milioni in uno cominciamo il lavoro e milioni in uno lo portiamo a termine. E fondendoci in un unico corpo con milioni di mani nello stesso secondo indicato dalla tavola noi portiamo i cucchiai alla bocca, e nello stesso secondo usciamo per passeggiare e andiamo all'auditorio, nella sala degli esercizi di Taylor e andiamo a dormire (ivi, p. 27).
Siamo quindi di fronte ad un enorme Leviatano, un'unica grande macchina che per funzionare richiede che ogni suo elemento sia sottoposto a regole stabilite e rigide: ecco abolita la libertà. La sua sola possibilità colpisce al cuore l'esistenza stessa dello Stato Unico. La danza con il suo essere codificata in ritmi e movimenti prestabiliti è elevata a metafora del nuovo ordine mondiale:
<<Perché la danza è bella? Risposta: perché è un movimento non libero, perché il senso profondo della danza è appunto nell'assoluta dipendenza estetica ad una costrizione ideale. E se è vero che i nostri antenati si abbandonavano alla danza nei più ispirati momenti della loro vita (i misteri religiosi, le parate guerresche), ciò significa una cosa sola: che l'istinto della costrizione è esistito sempre organicamente nell'uomo, e noi, nella nostra vita attuale, ne abbiamo coscienza (ivi, p.22).
Scopo della costruzione dell'Integrale è infatti estendere a livello planetario la felicità matematicamente esatta dello Stato unico, assoggettando coloro che vivono ancora nello stato selvaggio della libertà. 

L'antinomia tra libertà e felicità incarna pertanto nel romanzo di Zamjatin la tensione fondamentale. Di nuovo i due termini risultano incommensurabili: nel paradiso terreste fu infatti offerta agli uomini la felicità senza libertà o la libertà senza felicità e questi scelsero la libertà votandosi al disordine e alla sofferenza.
 Nello Stato Unico invece tutto è semplice e paradisiaco perché la non libertà e la felicità sono garantite dal Gran Benefattore che tiene sapientemente legati mani e piedi coi lacci della felicità. 
Tutta la vita degli uomini è quindi pianificata: dal modo di vestire agli orari di lavoro, dal numero dei movimenti necessari alla bocca per masticare ai giorni sessuali; la famiglia è abolita, tutto è trasparente, tutto è costruito di vetro, non deve esserci spazio per il privato; anche la poesia è stata addomesticata, è divenuta servizio statale; ora deve tessere le lodi al Benefattore e allo Stato Unico; è impensabile che nei tempi antichi ognuno potesse dire ciò che gli passava per la mente!
 L'unica religione è la sottomissione allo Stato mondiale, la morale non si fonda più sul libero arbitrio, nella capacità di scegliere tra bene e male, ma diventa etica scientifica fondata sulle quattro operazioni matematiche, fissata una volta per tutte dall'organismo statale. In questo sistema vige la sorveglianza ossessiva dei guardiani nei riguardi dei cittadini e coloro che non rendono conformi le proprie azioni e i propri pensieri alla struttura della società vengono giustiziati pubblicamente, poiché il sistema democratico con la sua polifonia nuoce alla uniformità concettuale, garantita esclusivamente dal potere assoluto del Benefattore il quale elimina così ogni dissonanza.
Siamo di fronte ad un totalitarismo assoluto che ingoia in sè i singoli individui, vantando però la pretesa di aver fatto tutto ciò in nome dell'amore dell'umanità. 

Nel dialogo tra il Benefattore e D-503, che quasi testualmente riprende la «Leggenda» di Dostoevskij, viene affermato infatti che l'unico amore possibile nei confronti degli uomini è l'amore crudele, perché solo attraverso la schiavitù viene garantita una vita libera da affanni e quindi felice:
<<Io domando -- dice il Benefattore -- per che cosa gli uomini fin dalle fasce hanno pregato e sognato? Per che cosa si sono tormentati? Perché qualcuno dicesse loro una volta per sempre che cosa è la felicità -- e poi li incatenasse per sempre a questa felicità. Che forse noi facciamo qualcosa di diverso? L'antico sogno del paradiso. ... Ricordate: nel paradiso non si conoscono desideri, non si conoscono la pietà e l'amore, là tutti sono beati, perché sono privati della fantasia (e solo perciò sono beati) -- angeli, servi di Dio (ivi, pp. 144-145).
Sembra la fine della storia: sono state raggiunte le più alte vette dello sviluppo umano, quindi viene bandito dalla società ogni mutamento poiché quella dello Stato Unico è stata l'ultima rivoluzione. 

Ma la realtà -- afferma Zamjatin -- non ammette l'esistenza di un' ultima rivoluzione in quanto tale affermazione si rivela contraddittoria: è come cercare di stabilire qual è l'ultimo dei numeri sapendo che la serie dei numeri è illimitata; così è per la rivoluzione, essa è senza fine. 

L'universo si dibatte costantemente tra due forze, l'entropia e l'energia: l'una porta alla pace, all'equilibrio felice, l'altra alla distruzione dell'equilibrio, al movimento senza fine; ed in tale tensione dialettica Zamjatin sembra appunto indicare l'antidoto contro ogni pretesa all'assoluto da parte del totalitarismo.