lunedì 30 maggio 2011

Ermeneutica del Valore: Note a Margine sulle Utopie Distopiche (parte seconda)

Nella distopia contemporanea assistiamo ad un drastico cambio di prospettiva: viene meno la composizione organica tra universale e particolare a esclusivo vantaggio del primo elemento e alla pressoché completa dissoluzione del secondo.

Ecco perché tra le opere più rappresentative di questo "filone" tre testi in particolare, meritano considerazione e menzione, poiché appaiono le maggiori tre celebri "distopie contemporanee" : <<Noi>> (1922) di Evgenij Zamjatin, <<Il Mondo Nuovo>> (1932) di Aldous Huxley e <<1984>> (1948) di George Orwell.
Le tre opere gettano indubbiamente le loro radici nella «Leggenda del Grande Inquisitore» contenuta nei Fratelli Karàmazov (1879-1880) di Fëdor Dostoevskij. 

Il racconto di Dostoevskij è la riproposizione dell'episodio biblico delle tentazioni di Gesù nel deserto (Matth. 4,1-11) attraverso l'incontro tra Cristo e il Grande Inquisitore, così come viene immaginato da uno dei fratelli Karàmazov, Ivan. 
Questi rivela al fratello Alësa di aver scritto un poema avente per protagonista la figura di Gesù, ambientato nel XVI secolo, nel periodo buio dell'Inquisizione, a Siviglia, e immagina che Cristo a causa delle tristi condizioni in cui versa l'umanità decida di ritornare nel mondo al termine di una giornata di autodafé, compiendo vari miracoli e provocando l'entusiasmo della folla.
 Repentinamente sopraggiunge il vecchio Inquisitore che ordina il suo arresto. Nella notte il gesuita si reca dal prigioniero rimproverandolo di esser tornato sulla terra a infastidire l'operato della Chiesa; per tale ragione l'indomani lo farà bruciare sul rogo. 
Egli infatti non ha più il diritto di aggiungere nulla al suo precedente operato avendo a suo tempo trasmesso il suo potere al Papa ed alla Chiesa di Roma, i quali ormai, accettando quelle realtà rifiutate da Gesù durante le tentazioni nel deserto, il miracolo, il mistero, l'autorità, hanno così aderito alla proposta del Satana, correggendo l'opera del Figlio di Dio servendosi del suo stesso nome.

 Tutta la storia della Chiesa viene quindi presentata come una storia della salvezza alla rovescia: alla Chiesa di Cristo si è sostituita la Chiesa del Satana.
La spiegazione di tutto ciò è da rintracciare nel significato profondo del messaggio evangelico che il Grande Inquisitore pur conoscendo ha consapevolmente rifiutato: è l'annuncio della libertà integrale, è il rifiuto di conquistare l'animo degli uomini servendosi del miracolo e dell'autorità:
<< Vedi queste pietre nel deserto nudo e infocato? Mutale in pani - dice il vecchio - e l'umanità ti seguirà come un gregge docile e riconoscente, anche se eternamente temeranno che tu possa ritirare la mano e privarlo dei tuoi pani. Ma non volesti privare l'uomo della libertà e disdegnasti l'invito giacché, pensasti, quale libertà vi può mai essere se l'obbedienza si compra coi pani? >>

                 Fëdor Dostoevskij, I fratelli Karamàzov, Milano 1994, p. 352.
Ma così facendo, prosegue l'Inquisitore, Cristo ha proposto una religione adatta esclusivamente a individui superiori, capaci di addossarsi la fatica della libertà, lasciando da parte la maggioranza degli uomini per la quale la libertà rappresenta soltanto un insopportabile fardello da deporre ai piedi di chi è in grado di garantire il pane, cioè quella felicità senza libertà che Cristo ha rifiutato e che invece la Chiesa si è impegnata a garantire accettando dal Satana ciò che egli aveva rifiutato con sdegno: Roma e la spada dei Cesari, il potere con il quale assoggettare l'umanità e provvedere alla sua felicità:
<< Oh mai, mai essi sapranno sfamarsi senza di noi. Nessuna scienza darà loro il pane finché resteranno liberi, e alla fine non potranno che deporre la loro libertà ai nostri piedi e ci diranno «Rendeteci pure schiavi, ma sfamateci».  
Finalmente capiranno da soli che libertà e pane terreno a piacimento per tutti sono cose fra loro inconciliabili perché mai e poi mai sapranno dividerlo fra loro!   
E si persuaderanno che non potranno mai essere neppure liberi perché sono deboli, inetti, viziosi e ribelli (...) 
Ci ammireranno e ci riterranno simili a dèi, perché mettendoci alla loro testa, abbiamo accettato di sopportare la libertà e di dominarli tanto li atterrirà alla fine l'essere liberi! 
Ma noi diremo che obbediamo a te e che governiamo in nome tuo. Così li inganneremo di nuovo perché non lasceremo più che ti accosti a noi. 
E appunto in questo inganno sarà la nostra sofferenza giacché dovremo mentire. 
Io ti dico che non vi è per l'uomo affanno più grande che quello di trovare al più presto qualcuno a cui rendere il dono della libertà che quell'infelice ha avuto nascendo.
Ma si impossessa della libertà degli uomini solo chi pacifica la loro coscienza. Con il pane ti si offriva una bandiera inattaccabile: dagli il pane e l'uomo ti si inchinerà poiché non vi è nulla di più indiscutibile del pane. (...) 
Anziché impossessarti della libertà umana, tu l'hai potenziata e hai oppresso per sempre con il fardello dei suoi tormenti il dominio spirituale degli uomini. Tu hai voluto il libero amore dell'uomo affinché ti seguisse liberamente, ammaliato e conquistato da te. (...) 
Ma è mai possibile che tu non abbia pensato che alla fine avrebbe contestato anche la tua immagine? >>   
                                                  ivi, pp. 353-355.
La Chiesa degli uomini viene ridotta a massa informe, dove alla libertà è stata sostituita la sottomissione totale, all'angoscia del libero arbitrio è subentrata la felicità degli uomini non più costretti a decidere e soddisfatti di aver trovato un'autorità alla quale inchinarsi.

 Il grande Inquisitore, conclude Ivan Karàmazov, non è che un martire, il quale, dopo aver trascorso gran parte della propria vita a diventare libero e perfetto, si accorge della miseria in cui versa la maggior parte dell'umanità a causa della sua debolezza e decide così di unirsi di nuovo ad essa per prendere su di sè il compito di renderla felice destinando invece se stesso alla infelicità.

 Felicità e libertà rivelano quindi nell'antropologia di Dostoevskij la loro inconciliabilità: l'uomo deve decidere se percorrere la prima via segnata dalla pianificazione, dall'ordine assoluto o la seconda che porta ineluttabilmente con sè dolore, imprevisti, il caos.

 La riflessione quindi su tale binomio, nella forma offerta da Dostoevskij, unitamente a quella sul totalitarismo, si pone perciò al centro delle opere distopiche contemporanee, come ganglio vitale e suggestivo.  





Quella crudeltà a cui <<Il Mondo Nuovo>> non aveva fatto ricorso, perché la libertà contro cui essa avrebbe dovuto dirigersi era stata geneticamente sconfitta, si impone ferocemente nel romanzo di G. Orwell << 1984 >>.